mercoledì 27 gennaio 2010

Tavakoli

This is not a remake of May 1968, these kids are not playing at revolution like the French students did back then, they are putting their life at stake for a better Iran. Since December 7, Majid Tavakoli, prominent leader of Iranian students, is once again in the fortress of Evin, most probably subjected to physical and psychological pain. This is his third arrest and emprisonment. His CV as a dissenter and Civil Rights activist could not be more black from the viewpoint of the regime. Will it become his passport for the future, as a leader not only of the students but of the renewal of Iran? Yes, if he succeeds to stay alive. He has the courage and the determination. He is twenty-three years old and has plenty of time to survive the regime that stands like a monolith on the road to freedom. The Regime will pass, the strength of young men like Tavakoli will endure to establish a democracy which, despite the storm, exists de facto thanks to his efforts and those of his peers.


Ciò che accade in Iran non è un remake del maggio 68. Questi ragazzi non giocano alla rivoluzione come fecero gli studenti francesi allora, stanno mettendo a rischio la propria vita per un Iran migliore. Dal 7 dicembre, Majid Tavakoli, noto leader degli studenti iraniani, si trova di nuovo nella fortezza di Evin, probabilmente sottoposto a sofferenza fisica e psicologica. E’ il suo terzo arresto. Il suo CV di oppositore e di attivista dei diritti umani non potrebbe essere più nero agli occhi dei governanti del Paese. Sarà il suo passaporto per il futuro, non solo come leader studentesco ma come protagonista del rinnovo dell’Iran? Si, sempre che riesca a uscirne vivo. Possiede coraggio e determinazione. Ha ventitre anni e tutto il tempo per sopravvivere al regime che si erge come un monolito sul cammino della libertà. Passerà il regime, resteranno le giovani forze come quella di Tavakoli per stabilire una democrazia che, in Iran, pure attraversando tempeste, esiste di fatto grazie allo sforzo suo e dei suoi coetanei.

domenica 24 gennaio 2010

Il processo breve?

Forse a Calogero Mannino (diciassette anni trascorsi prima dell’assoluzione) oppure ai 6 membri della giunta comunale di Subiaco (vent’anni prima dell’assoluzione) sarebbe sembrato tale. Ma, a dirla tutta, il processo breve proposto dal ddl del governo non appare particolarmente breve: sei anni per i reati con pene previste fino a 10 anni (sei anni e mezzo con le ultime modifiche, più un aumento di due anni e tre mesi in caso di nuove contestazioni del pm, una storia infinita). Abbastanza per spezzare, se non distruggere, una vita. Se poi, la sentenza definitiva è l’assoluzione… Meritoria la clausola del risarcimento. Ma su quale bilancia si pesano le vite spezzate e con quale tariffario si risarciscono?

Nessuno può dire con assoluta certezza che le lungaggini siano colpa di giudici fannulloni. Bisognerebbe avere i dati. I più, come me, non ne dispongono . Ci vuole la verve polemica, l’acume, la cultura giuridica di Marco Travaglio per poter giudicare, e le sue ferree certezze . E tuttavia credo ci sia fra la gente il senso che manchi al sistema giudiziario italiano uno strumento che assicuri non solo i tempi brevi, ma anche l’equità di giudizio agli imputati e l’oggettività necessaria ai giudicanti. In America esiste il Grand Jury che risponde direttamente al dettame costituzionale del V Emendamento* . Il Grand Jury lavora a monte dei tribunali e delle procure. E’ une giuria popolare che non fa parte dell’establishment giudicante, non ha un presidente e, in caso di reati gravi, deve decidere se esiste reato e quindi la necessità di procedere. L’accusa prevale sulla difesa (che è presente). Può decidere anche su sole prove indiziarie. Regole dure per assicurare che il processo si faccia dove occorre. E tuttavia l’imputato può avvalersi per la propria difesa del Quinto Emendamento al quale questa Corte deve riferirsi in assoluto. Garanzie per tutte le parti in causa. Equilibrio e saggezza.

Niente di simile in Italia. Anzi, c’è sempre il rischio che le storture esistenti si estendano subito a qualsiasi strumento nuovo venga predisposto, prima o poi anche al processo breve. Sindrome da padre eterno di chi non tollera contraddittorio. Inquinamento da ideologia, da esposizione mediatica, da bramosia di potere e ambizioni politiche, da uno spirito di corpo che rende di fatto intoccabile e quindi non punibile il mondo della giustizia, qualunque siano i suoi errori e le sue disattenzioni. Con grave danno per gli imputati che spesso si chiamano Signor Nessuno, e per molti giudici che lavorano seriamente (ricordate Carnevale?).

*No person shall be held to answer for a capital, or otherwise infamous crime, unless on a presentment or indictment of a Grand Jury, except in cases arising in the land or naval forces, or in the Militia, when in actual service in time of War or public danger. U.S. Const. Bill of Rights Am. V.

mercoledì 20 gennaio 2010

I conformisti di Pieluigi Battista

Pierluigi Battista ci concede una puntuale e, direi, amara riflessione sulla qualità degli intellettuali italiani del nostro tempo, intellettuali che dovrebbero avere il preciso compito di sentinelle, non del ben pensare, ma del pensare bene, altra cosa. Non è così in Italia.

Giorni fa, un mio giovane amico mi raccontò una storia tratta direttamente dalla sua esperienza. Nel suo tempo libero si occupa della manutenzione di un castello storico ancora occupato dall’antica famiglia d’origine. Un giorno, in sua presenza, arrivò una visitatrice con un libro che presentò al proprietario dicendo: “mio marito era un partigiano nell’ultima guerra e quando venne a fare un sopralluogo qui, si portò via questo libro dalla sua biblioteca. Ormai è morto e ci tengo a ridarglielo." Il proprietario la guardò appena e pose il libro da parte con disprezzo. Il mio amico ci rimase molto male, giacché l’offerta della donna era in buona fede. Ma poi venne a conoscere le circostanze di quel “sopralluogo”: il padre del proprietario era stato barbaramente ucciso in quell’occasione e il ricordo della sua morte era ancora vivo nella memoria della famiglia. Il mio giovane amico mi disse: “ho imparato qualcosa. A vedere i fatti.”

Vedere i fatti, nudi e crudi, senza paraocchi. Per raggiungere un giudizio equilibrato su eventi e uomini, bisogna cercare di conoscere i fatti oggettivi. Questa è la condizione vera di una vera tolleranza. Può comportare anche uno sforzo di contestualizzazione non necessariamente relativistico, quasi sempre necessario. Ci sono dei casi in cui i fatti parlano da soli, il nazismo, il comunismo ecc… Ma in tanti altri casi si può e si deve scavare fino ad arrivare a ciò che è realmente accaduto. Altrimenti, in modo superficiale, si divide il mondo in buoni e in cattivi per definizione, cosa inaccettabile e finora impraticabile sul piano storico, politico e umano. Craxi insegna. Del Turco, Leone, e tanti altri pure.

Pierluigi Battista nota negli intellettuali la presunzione di conoscere i fatti solo perché sono intellettuali. Pasolini che dice: “Io non ho prove, ma so perché sono un intellettuale." Indolenza, vanità, opportunismo, ambizione, queste sono le componenti che Battista, forse senza volerlo, rileva nel descrivere il conformismo degli intellettuali. Di destra o di sinistra, non importa. Non si sporcano mai le mani alla ricerca dei fatti, anche perché i fatti possono contraddire e distruggere i loro castelli ideologici. Guai! Godono di impunità: non rispondono di nessuna loro azione, non hanno mai riconosciuto che le parole possono diventare pugnali e fare molte vittime. E non solo le parole, ma anche il silenzio, se è una scelta di voluta indifferenza.

Abbiamo bisogno d’altro. O forse, semplicemente, non abbiamo bisogno di intellettuali che esercitano la censura senza investitura alcuna. Meglio le persone che riflettono senza farne un mestiere.

martedì 19 gennaio 2010

Cavour e la modernità

Sono stata all’inaugurazione della mostra su Cavour al palazzo della Regione Piemonte a Roma ieri sera, 18 gennaio 2010. Bella, semplice, e dedicata soprattutto, mi sembra, a coloro che non trovano tempo di approfondire ma vogliono sapere. In pochi minuti, ben spesi se spesi con attenzione, si possono fare un’idea di questa personalità di assoluta unicità nell’Italia contemporanea. Non abbastanza riconosciuta nella sua grandezza di vero liberale e di vera modernità. Colpisce il contrasto della sua opera riformatrice in campo politico ed economico con i tempi che corrono. Colpisce in segno negativo se si pensa che sono trascorsi duecento anni dalla sua nascita, e cento cinquant’anni dalla sua morte, ampio intervallo per riflettere sulla sua opera e, magari, prenderla come esempio. Non è successo. Come mai?
Un'altra riflessione che è, allo stesso tempo, un ringraziamento: la mostra è stata inaugurata dal Presidente della Repubblica e illustrata da diverse personalità regionali e accademiche. Devo, però, rilevare che questa mostra non è opera loro, bensì del lavoro certosino dei miei amici Gino e Wilma Anchisi e della loro schiera di amici dell’Associazione “Amici di Cavour” di Santena, tutti appassionati di Cavour e rigorosamente volontari. Se Cavour verrà ricordato, come giusto che lo sia, nella prossime manifestazioni per l’Unità d’Italia, bisognerà dare atto a questi amici dei loro sforzi in questi ultimi dieci anni, svolti con grande modestia. Il loro lavoro deve essere riconosciuto come un grande contributo ad una autentica cultura liberale in questo Paese.

mercoledì 6 gennaio 2010

Vita e destino di Vassili Grossman.- 2

Capitolo 14. Un breve riassunto.

Il colloquio tra Liss, il funzionario della Gestapo, raffinato, blasé e stanco del mestiere che fa, e Mostovskoi il vecchio bolscevico prigioniero in un campo tedesco. Liss non vuole niente, non minaccia né estorce ammissioni, vuole solo discutere con il vecchio bolscevico e convincerlo che le loro due nazioni –la Germania nazista e la Russia sovietica – sono affini , speculari, divise da una guerra in cui chi vince farà vincere anche l’avversario disfatto. Tutte e due nazioni di lavoratori, dove il capitalismo è al servizio dello Stato-Partito, dice lui. Quale è dunque la differenza? Sono armate della stessa visione: costruire la grande forza nazionalista del XX secolo, “Il nazionalismo è l’anima del nostro tempo, dice. Il socialismo in un solo paese è l’espressione suprema del nazionalismo.” Ogni strumento è giustificato a questo fine, in tempo di guerra come in tempo di pace: la persecuzione degli ebrei, la repressione del dissenso, la soppressione della libertà, affinché vinca definitivamente lo Stato-Partito, l’unico a sapere ciò che è bene per tutti. “Il vostro terrore ha ucciso milioni di persone e noi tedeschi siamo stati gli unici a capire che era necessario e giusto,” sostiene Liss e aggiunge: “Siamo forme diverse di una stessa essenza.”

Mostovskoi non capisce quale è il gioco del nazista: forse vuole davvero solo capire? Questo induce nel vecchio bolscevico un attimo spaventoso d’incertezza. E se i dubbi che s’impadroniscono di lui, a volte timidi, altre volte distruttori, fossero la parte più onesta e più pura della sua anima? Presto, però, si riprende, e conclude tra sé: “Se credessi in Dio, penserei che mi abbia mandato questo strano interlocutore per punire i miei dubbi.”

Fede ferrea in entrambi i casi, intrisa di paura, di opportunismo e intimamente, a livello individuale, di una cecità volontaria. Essa è alla radice dell’imperdonabile tragedia in entrambi i Paesi, tragedia che si protrasse per 44 anni in l’Unione sovietica alla quale la vittoria, non raggiunta dai nazisti, diede un’inspiegabile legittimità.

Ne riparliamo ancora di questo libro.