domenica 27 settembre 2009
Nanà è partita
Nanà è partita
Nanà è partita, disse la signora V. alle sue conoscenti in cremeria, mentre facevano colazione. E’ partita, la Nanà, raccontò alle sue amiche dal parrucchiere, mentre le dipingevano di rosso le unghie delle mani e dei piedi. Nanà è partita, riferì al panettiere che era sorpreso di vedere lei a comprare il pane e non la sua domestica, la piccola sarda bruttina con la quale scambiava sempre qualche battuta.
E’ partita. E dov’è andata? In Sardegna forse, non ha lasciato detto. Non aveva lasciato né un biglietto né niente, la piccola domestica dall’età indefinita. La conoscevano tutti in paese, per questo notarono la sua assenza e chiesero di lei. La conoscevano anche le inquiline del condominio di fronte, più brutto certo di quello che abitava la signora V.. Spesso, mentre stendevano i panni sui balconi, schiamazzavano: Nanà! Nanà! e quando appariva con il cencio in mano, la salutavano e scherzavano con lei. Perché Nanà era sorridente e allegra. Certo quando la signora V. era sul suo terrazzo a prendere il sole in bikini, con lo specchio di carta stagnola intorno al collo per meglio riflettere i raggi del sole sulla pelle, nessuno si azzardava a schiamazzare e Nana’ non si affacciava. Restava dentro a fare il suo lavoro ed era brava, solerte, mai si prendeva un giorno di vacanza. Sempre lì, anche di domenica.
Presto le domande si fecero più pressanti sulla scomparsa di Nanà. All’inizio, la signora V. ripeteva con insistenza che Nanà era andata a trovare i suoi amici in Sardegna. Ma il suo sguardo si faceva sempre più incerto, così come la sua voce. Dopo un po’ di tempo, dovette cambiare registro: non si è più fatta viva. Non una parola. Siamo molto preoccupati. E i parenti? Nanà era orfana, questo era risaputo.
Forse sarà il caso di avvisare i carabinieri, disse un ospite invitato a cena a casa V., sorseggiando un campari. E’ passato più di un mese. I carabinieri, e cosa li diciamo dopo più di un mese? rispose il marito della signora V., ma lei lo rimbeccò subito, inviperita: Adulta e vaccinata, non siamo mica i suoi guardiani. Era molto seccata la signora V. e un piega aspra le deformava le labbra rosse. Dopotutto era lei a pagare il prezzo dell’assenza di Nanà. Era lei, ormai senza domestica, a dovere fare i lavori in casa, visto che non trovava né cercava nessuno che la potesse rimpiazzare. Nanà era lì da una vita, conosceva le sue abitudini. Ricominciare da capo con un altra, magari disonesta o sfaticata. Un problema.
Il marito della signora V. era un uomo che badava ai fatti suoi. Ma dopo tutto questo tempo, si fece scrupolo e avvisò i carabinieri. Un giovane appuntato della Stazione di comando, sardo pure lui, prese a cuore la faccenda e cominciò a indagare.
Che tipo era, la Nanà, innanzitutto… Lo chiese alla signora V. che rispose: tranquilla, molto affezionata a tutti noi. La trattavamo come una di famiglia. L’ingrata, pensò, ma non lo disse. La portavamo con noi anche a San Remo, pensi. Aveva amicizie esterne? No, era sempre in casa, qualche volta si metteva nel cortile a ciarlare con le vicine dirimpettaie, tutte donne del suo livello. Un uomo? Un uomo, la Nanà? Sta scherzando! Non l’ha mai vista? Ma come non l’ha mai vista, se la conoscono tutti in paese! Perché, cos’aveva di tanto particolare? Era brutta, disse la signora V., quasi sillabando, e la sua bocca rossa diventò piccola e tutta tonda. Scosse la lunga chioma bionda, infastidita. Era piccola, non più di un metro e quaranta, quasi una nana. Con un faccino da nana e mani e piedi da nana, un caschetto di capelli neri, certi capelli duri, quasi come crini di cavallo. Proprio brutta, quindi, ribadì l’appuntato. Ma aveva occhi buoni, aggiunse il marito della signora V., e anche un sorriso impagabile. Ma cosa dici, Vittorio? Perché? Non era gentile il sorriso della Nanà? La signora V. guardò il marito stralunata. Avete una foto, chiese il giovane carabiniere, sarebbe utile per le indagini. La signora V. cercò nel secrétaire e trovò una foto di Nanà vent’anni prima che teneva per mano un bimbo. Sembrava una bimba anche lei.
Raccontava niente della sua vita? Cosa poteva raccontarci, poveretta, la sua vita era tutta qui, in questa casa. Una vita, ce l’avrà avuta pure lei, disse il marito, quietamente. E tu cosa ne sai? Il dottor V. arrossì leggermente e si rincantucciò, com’era solito fare quando lei era arrabbiata. Lei infierì: Ne sai qualcosa tu? Allora dillo a questo giovane appuntato.
Bel ragazzo, l’appuntato. Alto, magro, capelli ricci, occhi dolci e attenti. La signora V. lo aveva squadrato subito, notando l’impeccabile divisa. Ma ora guardava il marito e lui la sorprese alzando la voce. Cosa ne posso sapere io, Virginia? L’appuntato s’irrigidì un poco, pensando Ah! Qui ci sta sotto qualcosa. Si ricredette subito di fronte alla figura elegante e bonaria del dottor V. Impossibile. Non con una donna alta un metro e quaranta e con capelli come crini di cavallo. Il dottore aggiungeva sopra pensiero: tutti hanno una vita, non crede? La moglie continuò a osservarlo con quello sguardo ironico. Poteva essere? Una volta tanto.
Ma non diceva proprio niente, questa Nanà? Sì signora, sì signora… E niente altro? Ascoltava, soprattutto. Stai dicendo che mi confidavo con la cameriera, Vittorio? scattò la signora, ma il marito alzò la mano in segno di stanchezza e questo la sorprese più che mai. Allora, per cancellare la brutta impressione, lei ebbe un sorriso di circostanza. Nanà faceva parte della famiglia. Ascoltava tutti, ascoltava i miei figli da piccoli e anche quando sono cresciuti. Conosceva ogni segreto di questa casa.
Avete guardato fra le sue cose? Magari qualche indizio. Nanà di suo non aveva niente, tranne il nostro affetto, disse la signora orgogliosa. Salirono nella mansarda dove la piccola domestica aveva la camera. Una cameretta spoglia, un letto, un comodino, una armadio, una sedia, un abbaino. Sotto il letto un valigia molto vecchia con dentro qualche immagine di santino, una sciarpa di seta rosa, e cartoline della Sardegna, tutte raffiguranti il mare. Forse qua in Piemonte le mancava il mare, disse la signora V. un po’ stupita. Forse le mancava casa sua, l’interruppe il dottore. Ma Vittorio, cosa dici? Questa era casa sua.
Bisogna scoprire dov’è andata a finire. Lei indaghi, ordinò la signora V. all’appuntato e costui si accigliò. Non per niente, era sardo e carabiniere, non prendeva ordini da nessuno fuori della gerarchia. Non era mica Nanà, lui, checché ne pensasse la signora. Indagò perché era il suo dovere e scoprì che Nanà era arrivata fino a Civitavecchia in treno. La riconobbe dalla foto uno della polizia ferroviaria che l’aveva fermata in stazione, pensando che fosse una bambina smarrita. Disse che sembrava tranquilla, portava una borsetta nera e una sporta per la spesa, nient’altro. Gli fece vedere la carta d’identità e se ne andò. Dove, non fu possibile scoprirlo e l’indagine si fermò lì per volere del maresciallo. La spesa non si giustificava. Nanà non era abbastanza importante. Probabilmente era viva e non voleva essere scoperta.
L’appuntato riferì ai signori V., un sabato mattina. Gli fu offerto il caffè su un vassoio d’argento con un centrino lavorato. Nessuno dei tre credeva alla fuga. Era successo qualcosa, di questo erano sicuri: la signora V. perché non poteva accettare che Nanà fosse partita così, l’appuntato perché era deluso che l’indagine fosse stata interrotta, il dottore per motivi che non chiarì. Disse a mezza voce: chissà quali paura si teneva dentro, povera Nanà. Paure, paure, buttò lì sua moglie. Si, paure, ma tu non sai cosa vuole dire. Cosa intendi? Gridò, lei smarrita, ma nessuno le diede ascolto. Ci sarà pure un motivo perché l’ha fatto. Fatto cosa, chiesero in coro la signora V. e l’appuntato? Niente, niente, è un po’ strano, tutto qui. Non disse mai nulla? insistette il carabiniere. No, Nanà era la discrezione personificata, riferì il marito della signora, di una compostezza assoluta. Difficilissimo capire che cosa pensasse veramente. Faceva il suo lavoro, sempre affabile, ma non diceva nulla.
Invece Nanà qualcosa aveva detto, a una delle dirimpettaie. L’appuntato lo scoprì quando cominciò a frequentare la bella ragazza napoletana che si chiamava Vincenzina. Seppe da lei che un giorno, risalendo a piedi la collina verso il paese, Nanà le aveva detto che aveva paura di essere sepolta viva. Preferiva finire in fondo al mare insieme ai pesci. E quando succederà, sicuro che non mi troverà mai nessuno perché così avrò deciso.
Da Civitavecchia partono i traghetti per la Sardegna, si ricordò allora l’appuntato. Il mistero era chiarito e poteva mettersi l’anima in pace.
Vada, 20 febbraio 2004
Questo piccolo racconto l’ho scritto in memoria di N…, a cui ho dato il nome di Nanà. Molti leggendomi sapranno esattamente di chi parlo e la ricorderanno con affetto. Nana’ è veramente esistita ed era così come la descrivo: brutta, di età indefinita e di dignità assoluta, persona civile e sempre affabile. E’ scomparsa e non si è saputo nulla della sua fine.
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