venerdì 23 dicembre 2011

I compiti del governo Monti

Scrive Enzo Papi...




I partiti hanno tollerato l'arrivo del prof. Monti a Palazzo Chigi per vari motivi per lo più diversi tra loro, tutti (forse con l'eccezione dell'UDC) però concordano su un punto: Finito il lavoro sporco, quello costoso in termini di voti, se ne deve andare e lasciare loro il posto provvisoriamente ed impropriamente occupato.

Con la manovra di fine anno Monti ha già fatto buona parte di ciò che i partiti hanno ritenuto utile o inevitabile affidargli. Ha tagliato e cambiato il calcolo delle pensioni, ha reintrodotto ed appesantito l'ICI, anche sulla prima casa, ha aumentato la benzina ed ha introdotto qualche fastidioso balzello sul lusso ed aumentato le tasse sui capitali “scudati” con un provvedimento di forte valenza populista e di poca legittimità giuridica.

Questa spremuta alle tasche degli italiani era inevitabile, vista la situazione dei mercati finanziari e la fragilità e l'impotenza delle Istituzioni finanziarie europee nella difesa delle aree deboli dell'Euro.
Con questa volontaria tosatura al nostro livello di vita, Monti ha chiesto nuova fiducia ai mercati ed ai partners Europei, che ha in parte ottenuto. Tuttavia questa manovra non basterà a rassicurare i mercati se, com'è probabile, svilupperà effetti recessivi. Non si potrà certamente ricorrere ad altri interventi fiscali ( che hanno raggiunto livelli record in Europa e non solo) che avviterebbero il Paese in una spirale tassazione-recessione.

Occorrerà colpire rendite e favorire chi vuole investire, abbattere le barriere protettive di consolidate clientele e sfidare la convinta e diffusa cultura dei “diritti/privilegi acquisiti”. Tutte questioni intimamente legate, non solo al consenso, ma anche alla vita dei nostri partiti e dei sindacati, alla loro struttura e alle loro nomenclature. E' molto probabile che questo campo di interventi non sia considerato “legittimo” nel mandato che i partiti hanno accettato di conferire al governo Monti e che la sofferta tolleranza nei suoi confronti si trasformi in tanti sfumati sorrisi, conditi di giornalieri trabochetti, fino ad una aperta ostilità.

Eppure questa, lungamente attesa, trasformazione della società italiana è necessaria e non più rinviabile. Deve essere finalmente affrontata questa resa dei conti con le sue culture illiberali, imbevute di ideologie salvifiche che hanno giustificato comportamenti e valori irrazionali nelle premesse e nelle decisioni, spesso strumentalmente e cinicamente utilizzate da furbi  protagonisti del privilegio politico. Questa resa dei conti costituisce il vero appuntamento della nostra storia contemporanea e pare difficile, francamente strano, che a gestirla sia un professore senza esercito e senza mandato popolare.

E’ questo il nodo che ha giustificato valori corporativi ed impedito al Paese di avere un sistema giudiziario efficace e corretto, un’Università che non degradi nell’accademia nepotistica o servizi pubblici rispettosi dei bisogni dei cittadini e non solo dei privilegi di chi li amministra.
Ma queste culture del “dover essere”, che trovano radici nella cultura sociale della Chiesa e nelle premesse sociali del marxismo e che dividono la società in “buoni o cattivi” a seconda della collocazione nel processo di formazione della ricchezza, hanno anche impedito la formazione di una comunità unita da una convinta identità.

Una convinta e condivisa identità è però necessaria perché, per uscire da questa crisi, per non cadere nel caos di un ritorno alla lira con gli inevitabili duri effetti sui risparmi, sui salari e sulle pensioni, o nel declino di un’economia assistita dall’Europa, in cui l’Italia sia accettata come un male preferibile alla sua espulsione, occorre che si torni ad investire. L’Italia ha un grande debito pubblico che testimonia la superficialità della sua classe dirigente furbesca ed ideologica (che è il contrario di responsabile e concreta ), ma le famiglie sono seconde solo ai tedeschi nel risparmiare. Così mentre il debito pubblico ha raggiunto il 120% del PIL, il risparmio privato risulta essere ben 4 volte superiore al PIL.

Questa ricchezza se ne sta rintanata nei conti in banca, possibilmente all’estero, o in beni immobili. Diffida della borsa, dove più volte è stata saccheggiata dai soliti finanzieri d’assalto sfuggiti alle cure delle molteplici autorità che avrebbero dovuto controllare ed impedire i casi Parmalat, teme uno Stato inaffidabile e zelante nei mille controlli ed nelle irraggiungibili “autorizzazioni” a cui sottopone che si avventura nell’avvio di un’azienda.  Se questa ricchezza non troverà la via della fiducia e non tornerà, come nel primo ventennio di questa Repubblica, ad investirsi in nuove Imprese e a sostenere le grandi e piccole aziende nazionali che faticano a resistere sui mercati globalizzati, non vi potrà essere che un futuro di declino.

E’ evidente che nessun “professore” potrà sciogliere questi nodi se non assume l’abito di testimone politico, di coraggioso profeta di un nuovo “sogno” italiano,  che traghetti il Paese fuori dalla retorica di una classe dirigente auto referenziata e non più credibile, sia che parli il linguaggio delle “fiction” televisive  o quello degli antichi richiami alla caccia ai cattivi che sfruttano il popolo.

Ma questa non pare essere la missione del Governo Monti







mercoledì 14 dicembre 2011

Abolire la privacy?


Si, è giusto che gli italiani perdano le cattive abitudini di sempre, accumulate in decenni,  di non rispetto delle regole e delle leggi. E’ giusto che imparino il rigore in materia fiscale, commerciale, industriale e quant’altro.  E’ giusto che nessuno di noi si chiami fuori dalle proprie responsabilità verso  la comunità a cui appartiene.  Ma questo, l’ho sempre pensato, deve rilevare dalla responsabilità personale e individuale.  La responsabilità personale e individuale non può essere insegnata con metodi inquisitori generalizzati e, per questo, non discriminanti.  Ritorniamo sempre al Santo Uffizio.   I metodi inquisitori non cambiano una cultura di disattenzione per un motivo semplice:  incoraggiano la trasgressione e, a volere trasgredire, si trova sempre il modo (vedi la mafia, piuttosto che la Camorra e la n’dranghenta).   Ci vogliono invece dei metodi di vigilanza accurata e continua.  E quindi “normali” nella vita del cittadino, severi, sì,  ma senza il ricorso al sospetto e alla minaccia. Deve esserci da parte del fisco, come della giustizia, una (vera e fattiva) presunzione d’innocenza fino a prova contraria.  Non si deve partire dalla presunzione di mala fede per principio,  se si vuole che i cittadini imparino il rispetto dei regolamenti e delle leggi.  Tutti noi commettiamo errori nella gestione dei nostri affari privati o professionali, ma bisogna dare a questi errori il giusto peso.  Ci sono peccati veniali e peccati capitali (mafia, camorra e n’drangheta), per gli uni basta uno sculaccione, per altri ci vogliono misure oggettivamente più stringenti. I cittadini devono aver modo di correggere i propri errori, di pagare multe giuste, senza sentirsi evasori incalliti,  commercianti o artigiani o imprenditori disonesti da mettere definitivamente al bando, o perennemente sotto il microscopio del fisco.  Nessuno contesta l’utilità dell’IRS in America e in Inghilterra,  la correttezza fiscale è considerata un dovere.  Ma, in Italia, fino adesso, non è stato così, anche perché il fisco, sotto i suoi profili operativi, è stato spesso arbitrario e spesso ha commesso errori di cui il cittadino ha dovuto subire l’onere della prova e di multe esorbitanti rispetto al l’oggetto.
Rigore, sì, da parte del governo Monti, ma nel rispetto di un minimo di libertà individuali.  Frugare fino allo spasimo nei conti correnti della gente viene universalmente percepito come una  azione repressiva, porre dei limiti impossibili nel ritiro dei contanti (non oltre mille euro), un arbitrio.  Imporre ai vecchietti di aprire un conto corrente (con annesse e connesse commissioni e spese) dove versare la pensione è assurdo.  Molti di loro, specialmente quelli senza familiari in grado di aiutarli, non sanno come fare a gestire una situazione del genere.  Per loro, il bancomat è un oggetto misterioso di cui non impareranno mai l’uso.  In banca potranno recarsi solo se le loro condizioni fisiche lo consentono, e se no?
Altra situazione:  in questi giorno, dovevo pagare gli stipendi dei miei dipendenti tra i quali un giovane ucraino, regolarmente assunto, che mi ha chiesto i contanti per alcuni pagamenti urgenti da fare in famiglia.  Il suo salario era superiore a mille euro e non ho potuto ritirare i contanti.   Il ragazzo ha dovuto versare un mio assegno in banca con valuta di 4 giorni, il che gli ha recato un serio disagio.  Allo stesso modo, molti degli avventizi extra comunitari che impiego con regolare assunzione per alcune operazioni in campagna, non hanno un conto in banca e li ho sempre pagati con i contanti.  Ora non potrò più farlo e quindi dovrò rinunciare ad assumerli.  Me ne rammarico, con alcuni di loro ho lavorato per anni in modo molto positivo.  Situazioni reali, queste. 
Il rigore cieco e inflessibile può produrre risultati di questo genere, di cui nessuno ha tenuto conto.   Oltretutto contravviene alla già disastrata legge sulla Privacy.  Tanto vale abolirla a questo punto.  Non serve proprio, non protegge nessuno.   Capiamo tutti che il momento è catastrofico, ma non lo rendiamo ancora peggiore. 

domenica 11 dicembre 2011

Gridare allo scandalo

Gridare allo scandalo
Non stiamo esagerando?  Non sarebbe più utile fare autocritica?  Da quarant’anni a questa parte, si è creata una vera e propria cultura del privilegio e del diritto acquisito che è valsa quanto l’evasione fiscale a devastare il Paese.  Stessa auto-assoluzione in entrambi i casi e stessa colpa.  Abbiamo la memoria davvero corta, mi sembra, a gridare oggi all’iniquità delle misure del governo Monti.  Inique, sì:
1)   - le baby pensioni;
2)   - le pensioni di invalidità distribuite a piene mani a ciechi vedenti, a pazzi molto accorti, a infermi arzilli, a famiglie di venti persone su più generazioni, tutte afflitte da malanni invalidanti, dai nonni fino agli ultimi neonati,  a Napoli e altrove, con la connivenza di medici e senza alcun controllo da parte di USL/ASL;
3)   - la protezione accordata dai sindacati, medici e  giudici agli assenteisti  e fannulloni,  i più furbi per eccellenza che hanno avuto così più diritti della gente che lavora veramente e subisce in silenzio questi soprusi.  Come in tale azienda in un paese in riva al mare e addossato ai monti, bella zona di caccia, di pesca e di funghi, dove non c’era vergogna a farsi timbrare il cartellino da altri per potersi godere liberamente queste piacevoli attività, mentre tutti gli altri lavoravano.  Il licenziamento conseguente causa di alzata di scudi sindacale e di immediata reintegrazione da parte della magistratura.  L’Azienda, qualsiasi azienda, aveva e continua ad avere torto per definizione, sembra priva di ragione di esistere;
4)   - la sopravvivenza di enti statali già disciolti, fantasmi di se stessi, dove bisogna per forza mantenere i lavoratori, perché non si possono licenziare.  Questi, e ne conosco, hanno passato i migliori anni della loro vita a fare la settimana enigmistica e a giocare al solitario su Internet, non sapendo che altro fare.  Tutto in nome del posto fisso ma in dispregio della dignità individuale;
5)   - Il ricorrente assenteismo dello Stato nel pagare lavori eseguiti e consegnati, magari da anni, con  conseguenze finanziarie devastanti per le aziende coinvolte e i loro dipendenti;
6)   Le università con 300 corsi di laurea,  molti  dei quali inutili e con pochissimi studenti, con costi alti ma privi di giustificazione tranne la carriere di un qualche cattedratico.

Questa cultura non ha generato equità sociale, bensì parassitismo, senso d’impunità e ferreo spirito di clan.  Il suoi alti costi si ripercuotono su chi non può difendersi, gli infimi pensionati, i giovani che invecchiano senza prospettive e perdono ogni interesse, i dipendenti che svolgono il proprio lavoro seriamente senza sapere perché.  Questa cultura ha protetto nessuno e niente.   La speranza si è persa nel labirinto degli interessi particolari, così come la coesione della comunità.         

sabato 26 novembre 2011

Il pulcino nella stoppa


E’ già cominciato il lavoro di sottile delegittimazione del nuovo Premier.  I suoi modi urtano perché troppo forbiti, sottotono, evidenza di frequentazioni elitarie:  Trilaterale, commissioni UE, Bocconi, Goldman Sachs…. Al polo opposto, la brutale rissosità della politica italiana.  Monti vi fa figura di “pulcino nella stoppa”, direbbe Malaparte.  Non ne conosce i meccanismi, gli umori, le suscettibilità.  Gli capita, per questo, di cadere in errori madornali, ultimo dei quali la comunicazione del suo piano di risanamento alla UE,  prima ancora che al parlamento italiano.  Ha già tradito il suo mandato?  Che dire allora di Fini, di Bossi, di Scajola e di quant’altri hanno tradito il mandato dei loro elettori?
Per ora, è soprattutto una questione di estetica, ma rischia di diventare una questione d’incompatibilità, dunque sostanziale.  Detto questo, oltre alle riconosciute qualità tecniche, vi è un aspetto che caratterizza il nuovo Premier:  il senso di servizio allo Stato.  Se non,  perché aver messo in gioco la vita comoda e i privilegi, rispondendo all’appello del Presidente Napolitano?  Anche in questo, Monti si contrappone all’abitudine di strenua difesa dei diritti acquisiti, degli interessi personali e di clan che connota la classe politica, sindacale, amministrativa e giudiziaria del nostro Paese.  Non si tratta più di estetica, ma di sostanza, a giudicare dagli effetti rovinosi sulla vita del Paese in ogni ambito, da molti anni a questa parte.
A chi, dunque, dare credito a questo punto?  Monti, a differenza delle consorterie politiche ecc. ecc. , merita il beneficio del dubbio.  Gli altri, no.  Almeno che non lascino il posto a giovani e più vergini leve.



                                                                     

Un'orchestra inaffidabile

                                                         
                                                      €uro


Aspetti centrali della crisi

A livello Euro:

( un’orchestra inaffidabile)

Il concetto stesso di Stato si associa, di necessità, a quello di Governo (il Principe) che ha il potere di “batter moneta”. In tempi recenti, (XIX secolo) il Principe ha visto contrapporre al suo potere arbitrario, una serie di limitazioni e tra queste anche in quello di batter moneta. Sono nate così le banche centrali, con una relativa autonomia di “governance”, ma che hanno mantenuto l’obbligo di “prestatore di ultima istanza” alle necessità finanziarie dello Stato.
La nascita dell’Euro e della Banca Centrale Europea, nel quadro della Comunità “quasi federale “, presenta alcune importanti anomalie rispetto al consolidato binomio, Stato- Banca Centrale, conseguenza del fatto che, per l’appunto, la Comunità è un “quasi Stato”, ma non è uno Stato. Infatti, non sono state previste Istituzioni che possono operare da prestatore di ultima istanza, né Istituti in grado di finanziare sul mercato le necessità della Comunità o dei singoli Stati. Ciò ha come conseguenza che la Comunità può solo disporre di fondi fornitigli dagli stessi Stati (cessione di una % dell’IVA riscossa dagli Stati) e, a differenza di quanto potevano fare le banche centrali dei singoli Stati, prima della creazione dell’Euro, non può “emettere moneta” per affrontare situazioni di contingente inaffidabilità finanziaria di uno o più Paesi, che può derivare da:

    • Una crisi di liquidità del mercato finanziario internazionale (situazione esistente oggi) che induca una valutazione  più selettiva del rischio debito dei Paesi emittenti e un conseguente rialzo dei tassi di interesse richiesti a questi Paesi.

    • Inaffidabilità di un Paese che si trovi specificatamente, per malgoverno o cause eccezionali quali: eventi naturali o assestamenti sociali – instabilità politica (sommosse fino a cambiamenti traumatici del potere politico) in una situazione di maggior rischio percepito dai prestatori internazionali e non possa ricondurre, nel breve, gli eventi in un ordine considerato di affidabilità per il ripagamento del debito sovrano.

Per semplificare ed esemplificare, oggi, l’Euro, è paragonabile un’orchestra in cui ogni suonatore non può sbagliare la sua parte. Non vi è un direttore che possa sanzionare gli orchestrali disattenti o volutamente svogliati. (essendo i suonatori gli Stati, e il direttore la Commissione). Né è prevista una qualche misura che possa sostenere l’orchestrale che cade in malattia, con una cura somministrata solidalmente da parte degli altri componenti l’orchestra. Il direttore si limita a prescrivergli la ricetta per guarire (raccomandazioni della Commissioni o della BCE) e gli ingiunge di guarire presto perché, con la sua malattia, sta mettendo a rischio il concerto. Se non ha soldi per curarsi, al massimo, il direttore può farsi promotore di una colletta di solidarietà (come nel caso della Grecia, dell’Irlanda e Portogallo), ma se la deve cavare da solo. Nel caso di malattie gravi che domandano interventi pesanti e costosi (come nel caso dell’Italia), dove la colletta di solidarietà è chiaramente insufficiente, gli s’ingiunge di risolvere i problemi e basta, anche a costo di interventi mutilanti, che poi, verosimilmente,  metteranno a rischio anche la possibilità che possa tornare a suonare.

Oggi parecchi suonatori (Stati) sono in malattia, perché hanno ecceduto in bagordi o perché sono, da sempre fragili e vulnerabili, e non possiedono sufficienti anticorpi per resistere all’influenza “americana” originatasi a Wall Street e che, due anni fa, ha contagiato l’Europa.
Se non vogliamo che l’orchestra si sciolga occorre ripensare le regole improprie che hanno retto, fin qui, il funzionamento dell’orchestra.
Il direttore deve avere il potere di indirizzare i suonatori, controllando che lo spartito sia quello giusto (potere di definire la politica economica e di bilancio), deve avere un potere credibile di sanzione (potere politico federale) e deve assicurare agli spettatori paganti (la comunità finanziaria) che il concerto comunque si terrà e che il prezzo del biglietto pagato non sarà reso vano da qualche suonatore ammalato, svogliato o indisciplinato  (ruolo di prestatore di ultima istanza della BCE e possibilità di emettere titoli garantiti da tutti gli Stati – Eurobond-).
In buona sostanza l’Orchestra deve diventare una vera Orchestra (Federazione) e non una “Comunità” di suonatori, altrimenti ben pochi spettatori paganti saranno disponibili a dargli credito e comprare il biglietto (acquistare titoli dei singoli Stati)

Alla prossima …

Enzo Papi

lunedì 21 novembre 2011

i had a dream


I had a dream

A strange dream.  I  sat on a chair with a child standing in front of me.  He was small, seven years old or so.   I was removing a layer of  hair from his shoulders, with  a pair of nail scissors, working slowly downward with great precision because I was afraid of hurting him.  The hair came off like a very fine, nearly invisible, shirt, all in one piece, and the skin beneath was perfectly smooth, though I was afraid at the beginning  it might appear  bloody like the meat of a farm rabbit readied for cooking .  The me outside the dream was surprised, the one inside not at all. I knew nothing of the place and time which were not defined in the dream, as I slept on.  Perhaps it was normal, where I was dreaming, that children should have gossamer-like fur covering their whole body, normal that adults – mother, grandmother, aunt – should remove it when they reached a certain age - the age of reason?  Somehow I had the sense that this was a traditional custom, in the dream world where I was, like the tightly wrapped feet of little girls in Japan to impede their growth, or the scars on the cheeks of certain African tribesmen, or the deformed skulls of noblemen in Peru or in Yucatan before the Spanish conquest. Such social habits are usually tolerated within and without their place of origin, though not necessarily approved by all.  In the dream, I had a good feeling about what I was doing, not that it was  harmful to the child, but still I felt a certain sadness, perhaps only I was ending his childhood. 
But I also wondered as I slept, or the real me wondered why, I was doing it. Why remove this reminder of a distant past when humans were an indistinct and integral part of the animal world? Was it a habit, a ritual, a statement, a justification, or all these things in one?  I don’t remember whether these queries came later, when I woke up, or were implicit even as I slept.  Did a form of rationalization take place at the end-tip of my dream, at the limit of consciousness?  Later, when I woke up, I tried, piece by piece, to put the puzzle together. This is what came of it, nothing scientific, a sort of coverage of my dream:    
Instinct is presided by rigid and specific rules insuring the survival of the species.    No species will suppress its kind or other species, or its environment, because it would only destroy its own means of survival. There is no gratuitous reason for death or destruction, in nature, madness is involved but rarely.  Lions will not cancel the whole deer population or wreak havoc to the savannah just for the fun of it.  Fun is related exclusively to specific acts of learning by playing in youngsters, of sustenance and mating, but it is a collateral effect, not the cause and most species are unaware of it.  Fun is not part of the animal world, humans excepted.
At a certain point – fifty thousand years ago? -  the human mind came into the picture.  It was not only governed by the rules of nature and instinct, but also by an urge to investigate the environment that was completely new and, to this day, remains a mystery.  By trial and error, randomly sought and erratically productive, with time and future looming ahead and constantly re-arranging the options, the alternatives  offered by human intelligence to the natural order had - and still have- the stamp of uncertainty.  They  were difficult to handle, brought about never-ending sequels that were elating but also difficult to understand, sometimes dangerous:  God, fire, tools, the wheel, war.  They produced  the necessity both of domination and progress. 
The  survival of the fittest has always been a question of adaptability which, at this point,  depends mainly on mankind. The human mind has fashioned the environment to the image of man who now dominates it, dynamic, disruptive, unreliable.   Basically ,  the survival of the fittest does not apply to all species anymore – except, perhaps, unicellular forms of life  - now that man is  an overwhelming presence on the planet. 
So where does that dream come in?
Lately,  I have been thinking of how fragile the human species has become, such as it is now, entirely dependent on technology, cut of from its roots, and from the laws of nature. This revolutionary trend has affirmed itself in the last two hundred years, which is nil compared to the millions of years of evolution preceding the appearance of man on earth.  Time is suddenly  spinning at vertiginous speed, and the only explanation is that the minimal sums of knowledge that the human mind silently accumulated for eons and ages have for some reason sparked into an elaboration that feeds upon itself endlessly, changing the very position of man within nature as it was, estranging him from it .   Nature has always been and often is merciless – earthquakes, tsunamis, meteorites, eruptions – blindly changing the course of evolution and history.  The human being of all times has had no defense against it, except the hardiness to survive and, and diversely from certain animal species, to start again from scratch.  Add to this the complete self-reliance of man nowadays , the capacity to rule out anything that goes against it , the incapacity to live in osmosis with nature as  his forefathers did:  all this opens a rather frightening scenario.  Mankind is on its own, it is depriving itself and other species of  adaptability because it is changing the raw and vital configuration of the natural world.   None can be considered  the fittest anymore in an environment that is ruled by uncertainty and requires the corrective interference of technology . So, yes, perhaps the dream had a meaning.  Perhaps, as I dreamed it, I knew  I was doing no physical harm to the child, but I felt a certain sadness at removing this last trace  of the animal in him and uncovering this new vulnerability.


domenica 20 novembre 2011

Un dubbio





Il nuovo Presidente del Consiglio ci ha regalato una ventata di aria fresca.  Ammiro in lui la coerenza, la serietà e, vivaddio, i modi pacati, qualità poco italiane che ridanno all’Italia un po’ di autorevolezza.  Di sicuro è uomo di esperienza e capacità come non se ne vedeva più al governo da tempo.  
E proprio per questo, mi ha sorpreso che abbia scelto il capo di una grande banca come ministro delle Infrastrutture e dello Sviluppo.  Avrà avuto eccellenti ragioni per farlo, ma non può ignorare che la stragrande maggioranza, in Italia e nel mondo, considera le banche, a partire da quelle americane, come il primo responsabile della crisi mondiale.  Né può ignorare che la sua libertà d’azione, in qualità di presidente del consiglio, è fortemente limitata da quella voliera di galline impazzite che è il Parlamento italiano.  Dalle sue paure, innanzitutto, dalle sue  bizze, dall’abitudine ormai inveterata di giocare sporco contro gli avversari.  Purtroppo il presidente del consiglio deve interagire con il Parlamento.  Ne dipende, e non dispone, forse non disporrà mai, della scaltrezza mediatica dei politici.  Non bastano, purtroppo, né la stima del Presidente Napolitano, né le oggettive capacità che gli sono proprie.  Per fare, deve convincere, e la scelta di un banchiere a ministro è stata, in questo senso, imprudente.   Una pietra d’inciampo che poteva evitare.   Tutti buoni, adesso, ma l'aspettano al varco.  

sabato 19 novembre 2011

La vittoria della Sinistra 14 novembre 2011





La vittoria della Sinistra

14 novembre 2011



La vittoria, per soppressione dell’avversario, sembra essere diventato il metodo politico congenito alla “nuova Sinistra”. Quella nata nelle aule giudiziarie di tangentopoli, uscita menomata e disorientata dal crollo del muro di Berlino, sotto cui era finito sepolto il mito del Comunismo.
E’ il vizio acquisito nel 93 quando la magistratura, e non le elezioni, sconfissero il nemico di un vecchio partito ideologico che disperava oramai della sua sopravvivenza.

Il merito di Berlusconi, uno dei pochi, è di aver ostinatamente impedito, per quasi un ventennio, il successo di questo metodo, ben poco democratico, almeno nella sostanza.
Merito che però, agli occhi della nostra sinistra, è ben grave colpa. Colpa che ampiamente giustifica l’odio, e i conseguenti festeggiamenti, ogni volta che Silvio scende dal “Palazzo del potere”. In particolare, questa volta, in cui l’età sembra motivare una sua definitiva uscita di scena.

Eppure non ha motivi di abbandonarsi all’esultanza. Berlusconi si fa da parte, ma non per far posto ad una sinistra vittoriosa. Ha ottenuto le sue dimissioni, ma non ha conquistato il “Palazzo”. La sua armata, che si è composta sotto la bandiera della guerra all’odiato nemico, manca della credibilità di una proposta politica che rassicuri i mercati internazionali, che ben più di lei hanno spodestato un Berlusconi ingessato, e li convinca all’acquisto del nostro debito pubblico.

Così il vecchio saggio, l’ex comunista eretico, Napolitano ha pensato a Monti. Non ha voluto le elezioni anticipate che, molto probabilmente, sull’onda della crisi economica, condita di “Bunga-bunga” giudiziari, avrebbero incoronato Bersani (o chissà quale altro cardinale della variopinta cordata) nuovo Premier.

Ora se Monti avrà successo, come tutti dobbiamo sperare, non dimostrerà che la Sinistra aveva ragione, ma solo che Berlusconi è stato “insufficiente”. L’uomo, intrappolato nelle beghe di un partito che ha voluto, condito di veline, allegri compagni di serata, qualche vecchio arnese della prima repubblica, professori vanitosi e ambiziosi e convinti ammiratori del Capo, si è mostrato incapace di passare dalla “fiction” alla realtà. Con questo esercito originale e pur con la valida scusante di essere stato oggetto di un’ostinata “caccia alla volpe”, organizzata dalle procure di magistrati “democratici”, non poteva credibilmente affrontare la sfida della modernizzazione del Paese, sempre che ne abbia avuta la volontà.

Se Monti avrà successo, dimostrerà che la nostra politica tutta, versione “Berlusconi” e versione “Sinistra ammucchiata” va messa in soffitta e che i giocatori vanno cambiati.

Smantellare rendite, privilegi, consorterie e la cultura furbesca che le alimenta insieme a quella fatalista che le tollera, è la vera e vecchia sfida che il Paese deve affrontare fin dal ’93.
Forse, con l’arrivo di Monti, chiamato al compito di salvatore di ultima istanza, potremmo aver iniziato ad affrontarla davvero, ma per questo dovrà cambiare la casacca di tecnico per indossare quella del politico e non e per niente sicuro che lo voglia ( e lo possa) fare. 

Enzo Papi

Il blog ospita oggi il contributo di un uomo di grande esperienza di vita, di studio e di lavoro che, d'ora in poi, condividerà con me questo spazio.

venerdì 17 giugno 2011

Non guardare i telegiornali

Non guardare più i telegiornali.  A questo sono arrivata.  Sono stanca di sentirmi raccontare balle, l’una sopra l’altra.  Il referendum ì, che è stata una grande truffa con l’unico scopo di buttare giù questo Berlusconi che già sta traballando e sta per cadere senza l’aiuto di nessuno.  Basta sentire Margherita Hack sul nucleare (e sa Dio che non è di destra) per capire, e poi le previsioni sulla spesa energetica del Paese nei prossimi mesi (+ €450 annue a famiglia, + € 36 miliardi se non erro).  Ma non basta.  I sindaci di sinistra che hanno dovuto per forza votare contro la privatizzazione dell’acqua e si mettono le mani nei capelli, per la disperazione, ben sapendo che non riusciranno mai a gestire l’acqua in modo economico con il sistema pubblico.  

Le truffe mediatiche sono tante:

Peacock , il quale nella sua breve carriera ha accumulato un numero inaccettabile di errori giudiziari, a Napoli  dà addosso ad una presunta P4 che probabilmente è solo un accozzaglia di soliti truffatori, niente a che fare con la massoneria, la quale ha avuto grandi tradizioni ovunque tranne che in Italia, dove è stata ridotta giusto appunto ad un’accozzaglia di truffatori sin dai tempi di Gelli.  Com’è che questo Paese riesce  a trasformare tutto in operetta, al ridicolo, e non basta,  al funestamente disonesto?

C’è di peggio:  la totale demagogia di certo verdismo grillino e consimile, che incide giornalmente sulla vita dei cittadini.  Abito in un posto vicino all’uscita di Rosignano, sulla A12.  Per giungere al mio paesino e a tanti altri lungo la costa tirrenica bisogna innestarsi sulla Variante Aurelia.  E’ stato deciso  dai Poteri in Alto che, per evitare di prolungare la A12 su per i monti, per non creare “una ferita ulteriore” all’ambiente, la Variante Aurelia sarebbe stata trasformata in prolungamento dell’autostrada.  Il risultato è:

1)      Un cantiere che dura da mesi e ha travolto tutta la viabilità di quest’area, molto importante per il turismo e quindi per tutta  l’economia locale.   I fiorentini che scendono al mare ogni venerdì sera dovevano già fare ore di file negli anni passati.  Ora la cosa, già di giugno, rasenta l’incubo.  Non parliamo di pendolari che questi percorsi devono farli per motivi di lavoro. 

2)     In prospettiva, per gli abitanti l’obbligo di usare unicamente la vecchia Aurelia, se non vogliono pagare il pedaggio per percorsi locali, trasformando quest’ultima, già pericolosa,  in un luogo di massacri annunciati, durante i mesi estivi.

3)     Un inquinamento dovuto agli accresciuti ingorghi ovunque, in città, in campagna e su qualsiasi strada locale che si voglia.  Ne so qualcosa, abito sull’Aurelia.  Il rumore, già d’inverno, è diventato assordante, d’estate sarà insopportabile a finestre aperte, e se non vado in fondo al mio giardino,  che è molto grande, vivaddio, non respiro più,  inverno o estate che sia.  Lungo l’Aurelia, l’aria è diventata puro veleno.

Di  casi come questo, e molto peggio, è piena l’Italia.  Grazie a Berlusconi, probabilmente, diamogli pure la colpa, ma grazie anche a una demagogia imperante che  pone sempre gli esseri umani per ultimi nella scala dei valori, in confronto ai pesci, agli uccellini e ai cinghiali dell’Appennini.  Non c’era modo, no, di trovare un compromesso, tra il rispetto dell’ambiente e una vita decente per gli uomini?  Di esempi, ce ne sarebbero a iosa, e non solo nel campo ambientale,  ma a che pro?  Basta.  La cultura non è una cosa che si cambia con un colpo di bacchetta magica.  Ormai la cultura dell’Italia è fatta così, di un populismo che giova a pochi e danneggia molti i quali, tuttavia, devono stare zitti per non essere tacciati di bieco conservatorismo.  In verità, i molti, i più,  sono rei, sì, ma di conformismo impaurito, di una sindrome da puliscipiedi che fa spavento.  Ci vogliamo ripensare?




lunedì 13 giugno 2011

13 giugno 2011



Oggi 13 giugno 2011.  Una data da ricordare?  Sì una data da ricordare, nel bene e nel male e non so, vermanente, se l'uno o l'altro.  Io non ho votato i referendum.  La vicenda mi annoiava e avevo altro da fare.  Mi annoiava per la sua demagogia.  L'altro da fare era salvare le mie rose da una invasione di bestiacce che le riduce a mini cavoli. E poi, letture:  Jean Moulin di Jean-Pierre Azéma, dove emerge con chiarezza come la pochezza e l'ambizione degli uomini (membri della resistenza, dei partiti e/o della propria vanità) ha rischiato di fare affondare il grande progetto della France Libre, difeso invece da Jean Moulin (foto), prefetto di suo mestiere, uomo di establishment per eccellenza,  che seppe trovare il coraggio di rinnegare Vichy e di agganciarsi al grande ribelle De Gaule, rimanendogli fedele fino all'arresto, la tortura, la morte, per un'idea condivisa della Francia.  Altri tempi, altri uomini.  Accontentiamoci di quello che abbiamo?  No.

mercoledì 8 giugno 2011

La notte è lunga



La notte è lunga.  Sarà il troppo fumo che impedisce il sonno oppure il divario tra il corpo in senescenza e la mente da quindicenne.  I fantasmi della mente si risvegliano come una vendetta davanti agli occhi spalancati e si agitano.  Paure.  Una fra tante, questa notte.
Inutile. Resto ancora di quell’idea.  Anni fa l’articolo per Domus sui libri.  Scrissi che preferivo il libro stampato, compagno della vita, sugli scaffali di casa e nelle librerie.  Avrei dovuto scrivere che lo preferivo a ogni alternativa tecnologica, web, e-mail, e-book.  Sarebbe stato meno romantico e più vero.  I libri possono bruciare, o bagnarsi o disperdersi, uno alla volta però, o intere biblioteche, nei falò delle rivoluzioni, delle inquisizioni.  Ma non tutti i libri di tutto il mond0 , dacchè esistono i libri e il mondo. I libri si ritrovano nelle soffitte, negli scavi archeologici, in qualche polverosa biblioteca di provincia. I Pc, invece, si guastano o diventano obsoleti, le diskette diventano illeggibili, o perché è cambiato il sistema o perché invecchiano.  Gli indistruttibili CD si danneggiano, eccome.  Ho perso così decine di racconti che avrei dovuto stampare.  Che ci voleva?   C’è il rischio che non resti più niente.  Di qualunque traccia scritta, mia, tua, sua, di un’intera epoca, di un’intera civiltà.  Questi strumenti hanno un certo limite oltre il quale più nessuno li sa leggere.  Bisognerebbe essere accorti sempre, e quando si è ancora in tempo, versarne i contenuti in contenitori più avanzati, computer o chiavette usb o memorie esterne.  Un lavoro da Sisifo, giacché la tecnologia non garantisce un attrezzo indistruttibile e  neppure l’uomo una memoria eterna.  I bisnipoti che trovassero un memory stick in qualche cassetto lo considerebbero un oggetto indecifrabile?  Uno scrigno di scienza o di letteratura, di ricordi? Se non sanno cos’è?   Se non hanno uno strumento per aprirlo?

mercoledì 1 giugno 2011

Il voto di domenica

festa a Milano
  


Il Pdl si è preso quel che si merita, a Milano e altrove.  In pochi ormai credono al teatrino delle riforme che "occorre" fare e che non si sono fatte dopo anni di governo di centro destra.                 

Il Pd, comunque, non ha vinto, anzi è stato in qualche modo sconfessato dal voto di Milano e Napoli.  La sua proposta finora è stata unicamente di far cadere il governo Berlusconi, nessuno ha capito quale fosse il suo progetto alternativo per il Paese.
A Napoli ha stravinto De Magistris perché la città ha ormai un bisogno disperato di ordine e di legalità.  Tuttavia, trovo sconcertante il passaggio disinvolto di magistrati dalla sfera della giustizia a quella della politica.  Di Pietro addirittura capo partito, Gherardo D'Ambrosio senatore, prima ancora di loro Luciano Violante - di cui, peraltro, ho un grande rispetto - e tanti altri.  Questo passaggio sembra diventato obbligato, quasi a coronare un sogno di potere.  Una domanda:  questi uomini sono in aspettativa, solo prestati alla politica, oppure hanno lasciato definitivamente le loro funzioni precedenti?

sabato 28 maggio 2011

Il mondo alla rovescia

Quattro anni a Fazio, un anno e mezzo a Fiorani... Complimenti davvero.  La testa di qualcuno è avvitata all'incontrario oppure è semplice mala fede? 

lunedì 18 aprile 2011

Perdere l'interesse



E’ facile perdere l’interesse in questo momento.  Con i media scatenati, non c’è modo di riflettere su niente.  Su ogni argomento è già stato detto tutto e il contrario di tutto. Tranne forse l’essenziale.

Libia:  tribù sì, tribù no. Laici contro Al Qaeda, libertari contro tirannia.  Italia incapace di fare fronte, Italia guerrafondaia…L’unica cosa che non si è detto è che questa, più di ogni altra negli ultimi dieci anni,  è una guerra coloniale a tutti gli effetti, in cui la posta in gioco è il petrolio.  Potevano la Francia, la Gran Bretagna o gli Stati Uniti lasciare che l’Italia, anello debole di ogni catena, mantenesse i privilegi acquisiti o che la Cina e l’India entrassero in lizza?  La UE inesistente, la Nato travolta in questa guerra, gli insorti buoni e/o cattivi disfatti in partenza.  Alla fine il villano Berlusconi, a baciare la mano a Ghedaffi e a pagargli i danni del colonialismo per salvare l’industria italiana, è stato più coraggioso e  trasparente.  Quest’altri dovranno anche loro baciare la mano a Ghedaffi e scendere a patti con lui che sarà vincente di sicuro e resterà  al suo posto dopo una guerra cruenta,  in barba ai buoni sentimenti e alle buone intenzioni dell’ONU, della UE, della Nato, della Francia.  Vincerà per l’unica ragione che un quarto della  popolazione libica serve nel suo esercito e  nella sua polizia.  Ha ragione il bravo Ferrara:  non esiste la guerra umanitaria, esiste solo la guerra,  e questa scenderà a terra  dal cielo e si prolungherà oltre ogni previsione, soffocando ogni aspirazione democratica se mai c’è stata.  Di sicuro il Ra’is sceglierà con cura a chi vendere il suo petrolio e temo che non sarà l’Italia, costretta ad aderire suo malgrado alla coalizione bombardante.  Becca e bastonata.
Immigrazione:  Italia incapace di accoglienza, Italia in dovere di accogliere perché è la frontiera sud dell’Europa.  La cosa da ricordare è che, di nuovo, l’Italia è l’anello più debole di tutte le catene, quindi le si può imporre l’onore umanitario e l’onere politico e finanziario dell’immigrazione, pur contro la volontà della maggioranza della sua popolazione.  La Francia ritiene di non doverli  assumere, pure la Germania, e l’Inghilterra resta trincerata nella sua isola, ormai è chiaro.  Piovono critiche sull’Italia.  Nessuna dice che la UE non ha una politica comune rispetto a questo problema, ha solo un mosaico mal confezionato di norme che non sono niente più che buone intenzioni mai realizzate nel concreto.  Nessuno dice che l’ONU, la quale mantiene colossali burocrazie, se ne infischia, non vuole mettersi contro nessuno, soprattutto non il Terzo Mondo.  Però, a rischio non è solo l’Italia, è il trattato di Schengen e la UE, carta straccia il primo, tessuto ormai laceratissimo la seconda.   Le buone intenzioni, in mancanza di una seria e pragmatica politica comune, non possono che cozzare contro gli interessi puntuali di ogni nazione, come dimostra il buon Sarko il quale, attento alle istanze della sua grande industria, non ha esitato un attimo a bombardare la Libia per primo, senza guardarci più da vicino, senza aspettare nessuno.  Ha risposto semplicemente al richiamo della foresta e non sarà l'ultimo. Ma forse le cose vanno come dovevano.  L’Europa è stata sin dall’inizio un territorio inventato e, grazie alla sua ricchezza,  è sopravvissuta fin troppo a lungo.  Ora è giunta al dessert.
Morte di Arrigoni:  martire, pacifista, operatore umanitario, amico di Gaza, nemico d’Israele.  L’unica cosa che non si dice è che Arrigoni si è infilato nella gabbia di leoni affamati, pensando di ammansirli corteggiandoli.   Erano i suoi amici, Hamas e il suo corredo di salafiti, e lui credeva ciecamente nell'amicizia, loro molto meno.   Arrigoni ha pagato per ingenuità e forse per ignoranza di una cultura, poveraccio,  ed è morto convinto che la colpa fosse d’Israele.    Se Israele non esistesse,  insomma, queste cose non potrebbero succedere.  Peccato che nella sua mansuetudine, Arrigoni non abbia capito che non bisogna mai contribuire a mettere le parti l'una contro l'altra.

lunedì 28 marzo 2011

Incredibile ma vero

L'Iran della Repubblica islamica siederà alla CSW (Commission on the Status od Women), organismo ONU che valuta e presiede a livello globale l'avanzamento della uguaglianza per le donne.  Per ora solo la World Jewish Diplomatic Corps ha elevato una protesta.  http://www.thejewishweek.com/editorial_opinion/opinion/jewish_activists_protest_un_appointment_iran_commission_status_women
Incredibile ma vero.

mercoledì 2 febbraio 2011

Il discorso del Presidente Napolitano a Bergamo

Ho un grande affetto per il Presidente Napolitano e un grande rispetto per il suo senso di misura.
Condivido la sua idea che bisogna “raggiungere un corretto e costruttivo confronto”, cioè “uscire dalla spirale insostenibile di contrapposizioni” che oggi caratterizza la politica in questo Paese. Bisogna, in poche parole, usare la ragione. In poche parole, ma nei fatti è quasi impossibile ai giorni nostri, per la politica, per i media, per la giustizia. La rissa è più semplice e appagante, proprio il medioevo, guelfi contro i ghibellini, guelfi bianchi contro guelfi neri, e non solo i Italia, ma anche in Egitto, tra Occidente e Oriente, tra cristiani e mussulmani, tra palestinesi e israeliani ecc. ecc. ecc. Bisognerebbe saper coltivare il compromesso, grande cosa, nell’interesse di tutti. Guai! L’identità di ciascuno ne soffrirebbe in modo irreversibile. Vuoi mettere?

Quanto al “medioevo burocratico” di cui parla il Presidente, c’è da eccepire. Una soffocante burocrazia come quella dei tempi nostri la storia non l’ha conosciuta mai. C’erano le corporazioni anche prima, potentissime, mai inamovibili e privilegiate, mai così impunibili come quelle che conosciamo oggi: politiche, ideologiche, culturali, mediatiche, giudiziarie, comunitarie, e chi più ne ha più ne metta. E per ciascuna di esse, guardare i fatti in faccia fuori dall’orticello suo, una cosa impossibile. Le chiacchiere sono tante, tutte improntate al perbenismo che impone il conformismo globale e i talk show televisivi, la nostra nemesi. La verità o meglio la realtà viene schiacciata sotto il tallone di questi interessi. Al Paese non c’è bisogno di pensare. Rallegriamoci, è l’unica libertà che ci resta, finché non saremo tutti clonati a dovere.

domenica 30 gennaio 2011

I miei pensieri nel giorno della Memoria

Galileo inquisito di Goya

Nel 415 dopo Cristo, il vescovo Cirillo fece squartare Ipazia, filosofa, astronoma e matematica, perché si rifiutava di aderire al cristianesimo.  Diventò santo per aver soggiogato il popolo alessandrino, portandolo nel grembo della Chiesa.  Sin da allora e giù per i secoli, l’inquisizione è diventata uno strumento di potere ineguagliabile.  Con la rivoluzione francese, perse il suo carattere religioso, diventò laica.  Ma sempre inquisizione era, nelle caratteristiche e modalità.  Dotata di formidabili tribunali che Adriano Prosperi giustamente chiama “tribunali della coscienza”.  In entrambi i casi, il cristiano e il laico, l’obbiettivo era  tutelare il potere, limitando il libero pensiero e la libera espressione, la libertà insomma, in nome di un ferreo moralismo derivante dal concetto che Bernard Henri-Lévi definisce “il Bene assoluto”.

A questo punto, mi approprio della giusta distinzione di Angelino Alfano tra moralismo e moralità.  Sono esclusivi l’uno dell’altra.  Il moralismo può fare a meno della moralità, e ciò accade spesso.  La moralità deve fare a meno del moralismo.  Il primo giustifica e legittima il potere,  la seconda governa le azioni dell’individuo nella sua veste privata e pubblica, e assicura la sociabilità pacifica. All’individuo, il Vangelo, testo di straordinario pragmatismo, suggerisce di “dare a Cesare ciò che è di Cesare”, riconoscendo la difficoltà dei singoli di far fronte senza compromessi al mondo imperfetto in cui vivono.  Ai moralisti, assesta il colpo del “chi non ha mai peccato scagli la prima pietra”.

I moralisti di ogni risma e di ogni tempo, cristiani, mussulmani, laici e quant’altro, hanno dimostrato un pragmatismo molto più brutale. Qualche esempio:

Arnaud Amaury, abate cistercense e legato pontificio contro gli eretici di Linguadoca, all’indomani della presa di Béziers nel 1209, lanciò la famosa frase “Uccideteli tutti.  Dio riconoscerà i suoi.”  Non ci fu bisogno di tribunali.  Vennero dopo e molto ben congegnati allo scopo, anche se oggi vige una revisione al “ribasso” dei morti ammazzati dall’Inquisizione.  Difficile cancellarli, tuttavia,  pochi o tanti che siano, com’è difficile condonare l’abiura e  l’esilio forzati, dei catari, valdesi, ebrei, di Francia, Spagna e Portogallo.  Più tardi la persecuzione dei riformati.  Noël Beda, Mathieu Ory, la Sorbona dei dottori, grandi inquisitori.  Il massacro della San Bartolomeo.  Non ci fu processo o tribunale in quel caso.

Della Rivoluzione francese sappiamo quel che sappiamo:  il tribunale di Salute Pubblica, la ghigliottina sempre occupata, morti innumerevoli.  Fu così violenta, la Rivoluzione,  da divorare se stessa.

Lenin:  “fucilatela”, a proposito di una vecchietta che lo importunava.  Era nei primi tempi.  Dopo diventò un saggio amministratore, istituì i nuovi tribunali rivoluzionari e le corti popolari informati alla “coscienza legale socialista”, la Commissione straordinaria per combattere la contro-rivoluzione.  E poi, la Ceka… 

Hitler, dal canto suo, di fronte a milioni di nemici in patria – ebrei, zingari, froci - non aveva modo di istituire tribunali e scelse metodi più spicci:  i campi di sterminio.  Lo imitò con grande successo Stalin con il trasferimento di 5 milioni di Kulaki nei campi di lavoro dove morirono, i gulag, la grande Purga.  Lì, è vero, i tribunali c’erano, i risultati anche.

Khomeiny:  “Processi?  Sono colpevoli tutti.  Questa generazione deve scomparire insieme a tutta la sua discendenza.” All’inizio, ce ne furono di processi, per la vetrina.  Quello di mio padre durò 7 minuti, seguito a poche ore di distanza dalla fucilazione.  Come mio padre altri, molti altri,  oltre i kurdi, i turcomanni, dire 10000 forse è poco, e milioni di esuli.

Di esempi così la Storia è piena, giù giù fino a Tangentopoli, con i suoi miasmi è vero, ma anche con la lucida e feroce determinazione di magistrati:  “Rivolteremo l’Italia come un calzino.  Li metteremo dentro tutti e butteremo via le chiavi.”  Si trattava, sì, di ripulire l’Italia ed era un bene,  ma poi si è visto che si trattava anche di consolidare il potere nascente della magistratura.  Come da copione. 

In Europa, oggi, non esiste più la pena di morte, vivaddio.  Il Bene Assoluto è stato sostituito da un più gentile, ma altrettanto tirannico perbenismo,  che gli americani chiamano il “politically correct”. La cultura vigente impone un’accondiscendenza,  un conformismo che imbavaglia i singoli, toglie loro il diritto di usare la propria testa, pena l’esclusione dalla comunità grande e piccola.  La platea mediatica poi aiuta, serve da arena  di addormentamento e di repressione di qualsivoglia dissenso.  Come si fa a dissentire da Annozero?  Non si può… Serve anche, la platea mediatica, come anteprima dei processi giudiziari.  Non c’è da stupirsi che stia scomparendo la presunzione d’innocenza.   Un caposaldo del diritto, praticato oggi  dai più coraggiosi, e ce ne sono grazie a Dio, ma sempre più clandestini.

Questi i miei pensieri, non proprio felici, nel giorno della Memoria.   Sto diventando vecchia, fatto poco piacevole, ma voglio godermi almeno il privilegio della vecchiaia che consiste nel dire ciò che penso.  E penso che ricordare non basta, piangere neanche.  Il passato è stato brutto, ma il futuro non si presenta roseo, se si continua così a sperperare le poche conquiste che ci ha consentito la Storia. 

martedì 25 gennaio 2011

Scene di caccia in bassa Baviera

Plakat zum Film: Jagdszenen aus Niederbayern




Mi piace Berlusconi?  No e oggi, in veste di satrapo orientale,  è indifendibile.  Di sicuro, ma proprio di sicuro, non mi piace neanche la caccia all’uomo, chiunque sia.   La trovo imperdonabile, uno strumento del tutto inaccettabile nel confronto politico e giudiziario.  Da una cosa nasce l’altra e, sul filo della leggerezza, si va incontro a disastri, per non dire tragedie.  Basta un po’ di buon senso per capirlo.  Così si creano precedenti molto pericolosi per la democrazia, fuori dai percorsi legittimi che sono esclusivamente le elezioni, il Parlamento, la Presidenza della Repubblica.  Si procede per intercettazioni protratte e del tutto inappropriate, in mancanza di reato accertato o accertabile, su privati cittadini, seppure escort da quattro soldi, anche questo un precedente non accettabile.  Non solo per la privacy dei potenti, ma anche e soprattutto del comune cittadino .  Ci riflettano i Casini, i Fini, le Rosy Bindi che minacciano di “non dare tregua” a Berlusconi.   Brutto linguaggio, brutti comportamenti che danneggiano il Paese almeno quanto le bravate erotiche di Berlusconi.  Tra la volpe inseguita e la muta che insegue,  preferisco comunque la volpe.

mercoledì 19 gennaio 2011

Formidabile Ruby


La televisione è un’arte, è una scienza ben definita, non vi accade nulla a caso.  Di spontaneo non c’è nulla,  né una battuta, né una risata , né una lacrima, è tutto predisposto in anticipo, Grande Fratello, Amici, Chi l’ha visto.  Forse non lo sa il volgo, ma lo dovrebbe sapere, ne dovrebbe avere almeno l’intuizione.
Dove trova questa straordinaria sapienza mediatica, la giovane Ruby, appena diciottenne?   Senza trucco, in versione addomesticata, in stretto tubino di raso blu, con una libertà, una disinvoltura invidiabile, una dichiarazione contraria all’altra nello spazio di una giornata, comunque eclatante, un titolone dopo l'altro.  7000 euro, 5 milioni di euro e così via.  E’ tutta farina del suo sacco? Se lo è, chapeau.  Batte De Filippi e tutti quelli come lei.  Ha talento e determinazione, farà una bella carriera.

lunedì 17 gennaio 2011

La nave fantasma



Bersani è il pilota di una nave fantasma.  Fa quasi tenerezza.   Pieno di buona volontà nella sua sofferenza di fare rivivere il PD, pieno anche di discorsi sentenziosi e poco incisivi, in ogni situazione, moralità sperperata, progetti zero se non a parole, un senso di accerchiamento con i vari Di Pietro e Vendola del caso.  Non ci crede nessuno, neanche Di Pietro, il grande opportunista, neanche Vendola, il simpatico tessitore di belle favole.  C’è solo la necessità terribile di stare insieme, come certe coppie allo sbando che hanno paura di affrontare il divorzio.  Si è visto in questi giorni, con Veltroni e compagnia che hanno lasciato l’aula prima di votare, dicendo  “Non vogliamo distruggere l’unità del Partito.”  Ma che cosa vogliono, Bersani, Veltroni, Vendola (!!), Fassino, d’Alema e tutti gli altri fantasmi che popolano questa nave alla deriva?  Che cosa offrono al Paese?  Difficile da capire.

Resisteremo!




Riguardo al fascicolo appena aperto dalla Procura di Milano contro Berlusconi per aver molestato la minorenne Ruby o avere abusato di lei nella sua casa di Arcore, gli avvocati di Berlusconi sostengono che è stata commesso una grave infrazione alla privacy di Silvio Berlusconi.
Non si può essere d’accordo:  sia perché la vita personale (e economica) del Premier dovrebbe essere un libro aperto, sia perché la sua residenza di Arcore non gode di particolare immunità.

Detto questo, osserviamo che:
1)   Con la sentenza sul legittimo impedimento, la Corte Costituzionale ha dimostrato la sua forte politicizzazione:  un po’ + di ½ per una parte (la sinistra), un po’ - di ½ per l’altra (la destra).  Questo va contro il suo dovere assoluto d’imparzialità. Non è stato considerata la sostanza fino in fondo, solo gli interessi di parte.  La sostanza sarebbe stata di soprassedere fino alla fine del mandato Berlusconi, mettendo sul piatto della bilancia l’opportunità di attaccare un’importante istituzione dello Stato, con gravi danni non solo alla sua funzione di governo, non solo all’immagine internazionale del Paese, bensì alla centralità democratica di questa istituzione.  Così si è solo praticato il famoso “nì”, fonte di confusione inestricabile.
2)   Ci risiamo, con la chiamata dei giudici milanesi sul caso Ruby.  Ed era prevedibile visto il rischio di prescrizione per Berlusconi in alcuni processi, derivante dalla sentenza ultima della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento.  Infatti, sul caso Ruby, i giudici milanesi si sono espressi seduta stante, con un fascicolo che a oggi ha già raggiunto 360 pagine, a quanto dicono le news varie e variegate.

La prescrizione è una brutta faccenda in assoluto, tranne per il fatto che la magistratura con le sue lentezze ne è spesso responsabile.  Neanche nei vari casi Berlusconi, così vicini al suo cuore, è riuscita a essere efficace, immaginarsi nel caso dei poveri diavoli che attendono un responso da anni e anni, forse anche a causa di tutti i procedimenti contro Berlusconi che occupano la magistratura fino allo spasimo. 
Altrettanto brutto, tuttavia, è fermare la vita di questo Paese e del suo governo con ulteriori procedimenti che rischiano di finire nel nulla, com’è già accaduto (vedi la pagina di Wikipedia su Berlusconi).  Non è più tempo di ruzzare.  Né è più tempo di gridare “Resisteremo!” come fecero i magistrati milanesi, durante la vicenda Tangentopoli, convinti com’erano di governare molto meglio il Paese di chiunque altro.  


La magistratura è necessaria, è di un’utilità inconfutabile, ma farebbe bene a stare fuori dalla politica.  Per il bene della democrazia.  Ma ancora non ha imparato la lezione.   Il fatto che i magistrati possano liberamente passare dalla loro professione alla politica, mettendosi semplicemente in aspettativa ne è segno deplorevole.  Il piede in due staffe:  troppo semplice, e poi si grida al conflitto d’interessi.  In ogni caso, non è compito della magistratura mandare i governi a casa.  Fino a nuovo ordine a farlo sono gli elettori, le camere, il Presidente della repubblica. Altrimenti la democrazia è davvero a rischio.

Berlusconi è un personaggio dubbio (seppure dotato di grande resistenza:  (+ di 100 procedimento a suo carico!) .  Soffre del vizio d’impunibilità di tutti i principi.  Ma mentre lui passerà, inevitabilmente, rischiamo di trovarci sul groppone per sempre una corporazione di magistrati sempre più forte, fuori dai solchi istituzionali legittimi e quindi invasiva per il sistema democratico. 
C’è da riflettere molto seriamente.