Finite le vacanze di Pasqua, finito la maratona di Vinitaly, eccomi qua. Vi propongo un racconto lungo che sarà servito in più parti, con un post settimanale. Tratta di una realtà che mi sta a cuore perché vengo da quelle regioni, e che dovrebbe essere conosciuta e seguita da tutti giacché è il cuore di tenebra della politica internazionale dei prossimi mesi, se non dei prossimi anni: dalla risoluzione o non risoluzione dei problemi che rappresenta dipendono la configurazione del monde in cui viviamo, l'equilibrio tra gli Stati, la convivenza tra i popoli.
Il racconto è in chiave minimalista, ma s'inserisce in un quadro più grande, l'Afganistan circondato da Iran, Pakistan, Asia Centrale, paesi che intrattengono tra di loro e con il mondo rapporti di estrema, quasi irrisolvibile complessità. Le premesse di questa situazione risalgono all'Ottocento, a ciò che ormai comunemente viene chiamato "Il Grande Gioco", in cui Russia zarista e Inghilterra imperiale si contendevano l'egemonia di queste regioni, vuoi per ragioni commerciali, vuoi per motivi politici di creazione di sfere d'influenza e di contenimento dell'avversario. I paesi di quest'area ne erano le semplice, irrilevanti pedine, senza che le loro tradizioni, la loro cultura, e la loro realtà economica e sociale fossero oggetto di considerazione. Da attori di primo piano all'epoca della via della Seta, sono caduti in uno stato di subordinazione avvilente.
Gli Stati egemoni sono cambiati oggi, non più la Russia Zarista, l'Unione Sovietica o l'Inghilterra imperiale, ma il Pakistan e l'Iran, entrambi nucleari, la Cina risvegliata e affamata di rotte per il passaggio del petrolio, l'India in chiave minore e soprattutto in opposizione al Pakistan. Le esigenze di questi nuovi dominatori sono molteplici e agiscono come forze centrifughe che tendono a dilaniare piuttosto che a comporre. A generare uno stato di caos che finisce con snaturare in modo irrecuperabile l'identità di quei popoli. Oggi, in Afganistan, la riscossa viene dalla droga e dall'integralismo e, per motivi che appaiono chiari, non può che essere violenta, corrotta e arbritaria. I paesi occidentali vorrebbero introdurvi la democrazia a dispetto di ogni logica, e si rifiutano di riconoscere che questa terra è ormai il buco nero dell'Oriente. Indietro non si può tornare. Avanti, non si riesce ad andare. Più nessuno sembra in grado di controllare il caos, dirimere le contese, imporre soluzioni. La guerra è diventata l'unica soluzione. Qualcuno vincerà e non sarà necessariamente il più buono. Potrebbero senz'altro vincere i Taliban.
A domani, la parte prima del racconto intitolato Tariq Ali Khan.
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