Visto
“Goya et la Modernité” alla Pinacoteca di Parigi. Splendida mostra, soprattutto per i molti
disegni: La Tauromachia, I Capricci, i Disastri della Guerra, I Proverbi.
Segno pittorico visionario e allo stesso tempo concreto, impietoso e allo stesso tempo colmo di
delusione . Siamo partiti nel 1777 con
il ciclo dei “Giochi infantili”, dove Goya raffigura spesso un piccolo o una
piccola in disparte che piange mentre
gli altri, straccioni anche loro, sono al centro di un gioco scatenato. Non vi
è alcuna delicatezza in questi sei quadretti, né gentilezza. La pennellata è dura, la composizione mossa dalla violenza, la stessa di cui sono
vittime i fanciulli poveri e analfabeti di Roma e di Madrid. Presto Goya si è reso conto che il mondo è popolato
soprattutto di vittime : il toro fiero e inerme che si difende soltanto in un
gioco micidiale, i poveracci che muoiono
come mosche, in mille modi, durante la guerra civile, non più individui ma
carne da cannone. La scacchiera sulla quale si muovono non appartiene loro.
Il sogno diventa incubo e non solo alla fine, con i Proverbi
che ormai di si avvicinano alla grande opera al nero della vecchiaia, dipinta
nella sua Casa del Sordo a Madrid. La disperazione di Goya trae origine da una speranza
vanificata da quel che vedeva non solo con gli occhi ma con una lucidità di
ghiaccio. Una parabola inevitabile dalla
nascita alla morte?
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