Splendori
(iniziali) e miserie
(finali?) di un governo tecnico
Com’eravamo felici all’inizio di questo governo… Sei mesi dopo la sua formazione, siamo
smarriti. La nave si sta
arenando. Incredibile. Riflettendoci, però, la ragione appare
semplice.
Lo sguardo di Monti è stato sempre rivolto alla UE, alla
Germania, all’euro, allo spread, non all’Italia vera né ai problemi concreti,
(ora) acuti della gente. Le riforme proposte dal governo sono pura teoria. Timidezza nell’affrontare la realtà
brutale? Mancanza di pragmatismo
da universitari? Boh…
1)
La UE.
Monti, come altri governanti europei, non ha mai messo in discussione la
UE , la sua burocrazia asfissiante, la sua inefficienza a elaborare un
organico progetto comune, la sua
incapacità a predisporre una governance politica comunitaria che rispondesse
delle proprie azioni di fronte all’insieme degli europei. Tra i paesi membri della UE,
paradossalmente, è sempre prevalsa l’idea di proteggere da ogni diluizione gli
stati nazionali, la loro identità, cultura, economia specifica.
2)
La Germania (molto virtuosa) è oggi la principale,
per non dire unica, beneficiaria di questa visione. Può imporre le sue condizioni agli altri stati europei,
persino alla Francia. E’ l’esempio da imitare? Dice Monti che la sua riforma
del lavoro ricalca quella tedesca e quindi deve funzionare per forza. Tralascia il fatto, appunto, che la Germania è una potenza
che può permettersi una costosa
riforma del lavoro, perché è molto produttiva, dotata di tecnologie avanzate, e quindi molto
competitiva. L’Italia si trova
esattamente al polo opposto: è un paese stremato che ha perso i pezzi
principali della propria industria, un paese appesantito da un’enorme zavorra
statalista che non si può toccare.
Infatti, Monti si è ben guardato dal toccarla, e ha fatto bene, giacché
non dispone di strumenti politici per affrontare questo argomento.
3)
Più
semplice occuparsi di pensioni? Il
governo l’ha fatto nel modo più pesante, spostando in avanti l’età pensionabile
e riducendo il valore delle pensioni che saranno corrisposte già dal prossimo
anno. Certamente non è una buona notizia per i giovani e per le imprese perché si
rinvia il ricambio generazionale indispensabile, sangue nuovo per il Paese. Una scommessa pericolosa? Certo, ma come plasmare il futuro
altrimenti? Il ministro Fornero
continua a centrare la sua attenzione su parole tanto raffinate (rigore,
equità, sobrietà, sviluppo) quanto prive di significato perché non supportate
da una valutazione esauriente della realtà sul campo. Sarebbe stata opportuna qualche simulazione al ministero del
Welfare: forse il governo avrebbe evitato disastrosi errori come quello che
emerge oggi con gli esodati. La
colpa, secondo il governo, è degli imprenditori.
4) Lo
stesso vale per la riforma del lavoro, la quale avrà come unico risultato di
accrescere il costo del lavoro, scoraggiare le assunzioni, precarie o no, e
ridurre la competitività dell’Italia, con le conseguenze immaginabili sull’occupazione
in tutte le sue varie forme: co-co-co, immigrati avventizi, OTD, OTI. Il ministro Fornero ha avuto l’impudenza di dichiarare che
dopo tale splendida riforma, gli imprenditori devono ricominciare a investire. Viene da pensare che il Ministro
non sappia cosa sia un’impresa.
5)
Lo
stesso vale per le tasse (parole, parole, parole, cantava Mina). Lotta a tutto campo all’evasione,
aumento delle tasse, creazione di nuove tasse per finanziare questo o quest’altro
provvedimento, IVA al 23%. Ma con il sistema ridondante,
deficitario e inefficiente del servizio pubblico, gli italiani rischiano di
finanziare altri sprechi e altra corruzione, fintanto che qualcuno non si
decide ad abbattere la spesa pubblica e a riformare l’intoccabile pubblico
impiego.
Così, il rigore rischia di trasformarsi in repressione,
l’equità in iniquità, lo sviluppo in recessione. Abbiamo qualche ragione di sentirci smarriti, noi
profani? Forse è il caso di
tornare alla politica? Purtroppo, quale politica?
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