Dopo
aver imposto un’inevitabile stangata sulla spesa pensionistica e un vigoroso
incremento delle tasse, Monti sta cercando di controbilanciare gli effetti
recessivi di questa pesante tosatura con qualche misura che stimoli l’economia.
Ha individuato nella correzione delle norme che regolano il mercato del lavoro il
campo d’intervento che meglio può convincere le imprese a scommettere sul
futuro e tornare ad investire.
I
problemi di competitività che vengono dal lavoro sono due: L’elevato costo
totale (soprattutto per l’effetto del cuneo fiscale) e la rigidità dell’impiego,
per cui una scarsa professionalità o uno scarso interesse del dipendente alla
mansione non può essere corretto con la sostituzione della persona. In questi
casi l’azienda può solo tentare la difficile e spesso improbabile via della
nuova formazione e di una paziente opera di rimotivazione.
Le
misure proposte al Parlamento da Monti prevedono un aggravio del costo dei
contratti a termine e maggiori difficoltà per poter ricorrere
all’impiego atipico, il cui costo per l’impresa è mitigato da minori i
contributi e minor fiscalità. Si
può comprendere la volontà di contrastare il precariato, ma è difficile capire
come queste misure possano essere di sostegno alla competitività delle imprese.
La
legge delega proposta da Monti contiene anche una correzione all’articolo 18,
introducendo la possibilità del licenziamento per motivi economici, previo
pagamento di un preavviso di 18 – 27 mesi. A parte la difficoltà di dimostrare
i motivi “economici” e non discriminatori (un fannullone si può licenziare per
motivi economici o è discriminatorio?) il costo sarà, per molte imprese,
impossibile da affrontare.
Le
resistenze a queste misure sono risultate già così aspre da rendere incerto
l’esito del percorso parlamentare, ma quandanche ricevessero il sigillo del
parlamento, per quale motivo ci si deve attendere che abbiano un positivo
effetto sul rilancio dell’economia?
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