venerdì 23 dicembre 2011

I compiti del governo Monti

Scrive Enzo Papi...




I partiti hanno tollerato l'arrivo del prof. Monti a Palazzo Chigi per vari motivi per lo più diversi tra loro, tutti (forse con l'eccezione dell'UDC) però concordano su un punto: Finito il lavoro sporco, quello costoso in termini di voti, se ne deve andare e lasciare loro il posto provvisoriamente ed impropriamente occupato.

Con la manovra di fine anno Monti ha già fatto buona parte di ciò che i partiti hanno ritenuto utile o inevitabile affidargli. Ha tagliato e cambiato il calcolo delle pensioni, ha reintrodotto ed appesantito l'ICI, anche sulla prima casa, ha aumentato la benzina ed ha introdotto qualche fastidioso balzello sul lusso ed aumentato le tasse sui capitali “scudati” con un provvedimento di forte valenza populista e di poca legittimità giuridica.

Questa spremuta alle tasche degli italiani era inevitabile, vista la situazione dei mercati finanziari e la fragilità e l'impotenza delle Istituzioni finanziarie europee nella difesa delle aree deboli dell'Euro.
Con questa volontaria tosatura al nostro livello di vita, Monti ha chiesto nuova fiducia ai mercati ed ai partners Europei, che ha in parte ottenuto. Tuttavia questa manovra non basterà a rassicurare i mercati se, com'è probabile, svilupperà effetti recessivi. Non si potrà certamente ricorrere ad altri interventi fiscali ( che hanno raggiunto livelli record in Europa e non solo) che avviterebbero il Paese in una spirale tassazione-recessione.

Occorrerà colpire rendite e favorire chi vuole investire, abbattere le barriere protettive di consolidate clientele e sfidare la convinta e diffusa cultura dei “diritti/privilegi acquisiti”. Tutte questioni intimamente legate, non solo al consenso, ma anche alla vita dei nostri partiti e dei sindacati, alla loro struttura e alle loro nomenclature. E' molto probabile che questo campo di interventi non sia considerato “legittimo” nel mandato che i partiti hanno accettato di conferire al governo Monti e che la sofferta tolleranza nei suoi confronti si trasformi in tanti sfumati sorrisi, conditi di giornalieri trabochetti, fino ad una aperta ostilità.

Eppure questa, lungamente attesa, trasformazione della società italiana è necessaria e non più rinviabile. Deve essere finalmente affrontata questa resa dei conti con le sue culture illiberali, imbevute di ideologie salvifiche che hanno giustificato comportamenti e valori irrazionali nelle premesse e nelle decisioni, spesso strumentalmente e cinicamente utilizzate da furbi  protagonisti del privilegio politico. Questa resa dei conti costituisce il vero appuntamento della nostra storia contemporanea e pare difficile, francamente strano, che a gestirla sia un professore senza esercito e senza mandato popolare.

E’ questo il nodo che ha giustificato valori corporativi ed impedito al Paese di avere un sistema giudiziario efficace e corretto, un’Università che non degradi nell’accademia nepotistica o servizi pubblici rispettosi dei bisogni dei cittadini e non solo dei privilegi di chi li amministra.
Ma queste culture del “dover essere”, che trovano radici nella cultura sociale della Chiesa e nelle premesse sociali del marxismo e che dividono la società in “buoni o cattivi” a seconda della collocazione nel processo di formazione della ricchezza, hanno anche impedito la formazione di una comunità unita da una convinta identità.

Una convinta e condivisa identità è però necessaria perché, per uscire da questa crisi, per non cadere nel caos di un ritorno alla lira con gli inevitabili duri effetti sui risparmi, sui salari e sulle pensioni, o nel declino di un’economia assistita dall’Europa, in cui l’Italia sia accettata come un male preferibile alla sua espulsione, occorre che si torni ad investire. L’Italia ha un grande debito pubblico che testimonia la superficialità della sua classe dirigente furbesca ed ideologica (che è il contrario di responsabile e concreta ), ma le famiglie sono seconde solo ai tedeschi nel risparmiare. Così mentre il debito pubblico ha raggiunto il 120% del PIL, il risparmio privato risulta essere ben 4 volte superiore al PIL.

Questa ricchezza se ne sta rintanata nei conti in banca, possibilmente all’estero, o in beni immobili. Diffida della borsa, dove più volte è stata saccheggiata dai soliti finanzieri d’assalto sfuggiti alle cure delle molteplici autorità che avrebbero dovuto controllare ed impedire i casi Parmalat, teme uno Stato inaffidabile e zelante nei mille controlli ed nelle irraggiungibili “autorizzazioni” a cui sottopone che si avventura nell’avvio di un’azienda.  Se questa ricchezza non troverà la via della fiducia e non tornerà, come nel primo ventennio di questa Repubblica, ad investirsi in nuove Imprese e a sostenere le grandi e piccole aziende nazionali che faticano a resistere sui mercati globalizzati, non vi potrà essere che un futuro di declino.

E’ evidente che nessun “professore” potrà sciogliere questi nodi se non assume l’abito di testimone politico, di coraggioso profeta di un nuovo “sogno” italiano,  che traghetti il Paese fuori dalla retorica di una classe dirigente auto referenziata e non più credibile, sia che parli il linguaggio delle “fiction” televisive  o quello degli antichi richiami alla caccia ai cattivi che sfruttano il popolo.

Ma questa non pare essere la missione del Governo Monti







mercoledì 14 dicembre 2011

Abolire la privacy?


Si, è giusto che gli italiani perdano le cattive abitudini di sempre, accumulate in decenni,  di non rispetto delle regole e delle leggi. E’ giusto che imparino il rigore in materia fiscale, commerciale, industriale e quant’altro.  E’ giusto che nessuno di noi si chiami fuori dalle proprie responsabilità verso  la comunità a cui appartiene.  Ma questo, l’ho sempre pensato, deve rilevare dalla responsabilità personale e individuale.  La responsabilità personale e individuale non può essere insegnata con metodi inquisitori generalizzati e, per questo, non discriminanti.  Ritorniamo sempre al Santo Uffizio.   I metodi inquisitori non cambiano una cultura di disattenzione per un motivo semplice:  incoraggiano la trasgressione e, a volere trasgredire, si trova sempre il modo (vedi la mafia, piuttosto che la Camorra e la n’dranghenta).   Ci vogliono invece dei metodi di vigilanza accurata e continua.  E quindi “normali” nella vita del cittadino, severi, sì,  ma senza il ricorso al sospetto e alla minaccia. Deve esserci da parte del fisco, come della giustizia, una (vera e fattiva) presunzione d’innocenza fino a prova contraria.  Non si deve partire dalla presunzione di mala fede per principio,  se si vuole che i cittadini imparino il rispetto dei regolamenti e delle leggi.  Tutti noi commettiamo errori nella gestione dei nostri affari privati o professionali, ma bisogna dare a questi errori il giusto peso.  Ci sono peccati veniali e peccati capitali (mafia, camorra e n’drangheta), per gli uni basta uno sculaccione, per altri ci vogliono misure oggettivamente più stringenti. I cittadini devono aver modo di correggere i propri errori, di pagare multe giuste, senza sentirsi evasori incalliti,  commercianti o artigiani o imprenditori disonesti da mettere definitivamente al bando, o perennemente sotto il microscopio del fisco.  Nessuno contesta l’utilità dell’IRS in America e in Inghilterra,  la correttezza fiscale è considerata un dovere.  Ma, in Italia, fino adesso, non è stato così, anche perché il fisco, sotto i suoi profili operativi, è stato spesso arbitrario e spesso ha commesso errori di cui il cittadino ha dovuto subire l’onere della prova e di multe esorbitanti rispetto al l’oggetto.
Rigore, sì, da parte del governo Monti, ma nel rispetto di un minimo di libertà individuali.  Frugare fino allo spasimo nei conti correnti della gente viene universalmente percepito come una  azione repressiva, porre dei limiti impossibili nel ritiro dei contanti (non oltre mille euro), un arbitrio.  Imporre ai vecchietti di aprire un conto corrente (con annesse e connesse commissioni e spese) dove versare la pensione è assurdo.  Molti di loro, specialmente quelli senza familiari in grado di aiutarli, non sanno come fare a gestire una situazione del genere.  Per loro, il bancomat è un oggetto misterioso di cui non impareranno mai l’uso.  In banca potranno recarsi solo se le loro condizioni fisiche lo consentono, e se no?
Altra situazione:  in questi giorno, dovevo pagare gli stipendi dei miei dipendenti tra i quali un giovane ucraino, regolarmente assunto, che mi ha chiesto i contanti per alcuni pagamenti urgenti da fare in famiglia.  Il suo salario era superiore a mille euro e non ho potuto ritirare i contanti.   Il ragazzo ha dovuto versare un mio assegno in banca con valuta di 4 giorni, il che gli ha recato un serio disagio.  Allo stesso modo, molti degli avventizi extra comunitari che impiego con regolare assunzione per alcune operazioni in campagna, non hanno un conto in banca e li ho sempre pagati con i contanti.  Ora non potrò più farlo e quindi dovrò rinunciare ad assumerli.  Me ne rammarico, con alcuni di loro ho lavorato per anni in modo molto positivo.  Situazioni reali, queste. 
Il rigore cieco e inflessibile può produrre risultati di questo genere, di cui nessuno ha tenuto conto.   Oltretutto contravviene alla già disastrata legge sulla Privacy.  Tanto vale abolirla a questo punto.  Non serve proprio, non protegge nessuno.   Capiamo tutti che il momento è catastrofico, ma non lo rendiamo ancora peggiore. 

domenica 11 dicembre 2011

Gridare allo scandalo

Gridare allo scandalo
Non stiamo esagerando?  Non sarebbe più utile fare autocritica?  Da quarant’anni a questa parte, si è creata una vera e propria cultura del privilegio e del diritto acquisito che è valsa quanto l’evasione fiscale a devastare il Paese.  Stessa auto-assoluzione in entrambi i casi e stessa colpa.  Abbiamo la memoria davvero corta, mi sembra, a gridare oggi all’iniquità delle misure del governo Monti.  Inique, sì:
1)   - le baby pensioni;
2)   - le pensioni di invalidità distribuite a piene mani a ciechi vedenti, a pazzi molto accorti, a infermi arzilli, a famiglie di venti persone su più generazioni, tutte afflitte da malanni invalidanti, dai nonni fino agli ultimi neonati,  a Napoli e altrove, con la connivenza di medici e senza alcun controllo da parte di USL/ASL;
3)   - la protezione accordata dai sindacati, medici e  giudici agli assenteisti  e fannulloni,  i più furbi per eccellenza che hanno avuto così più diritti della gente che lavora veramente e subisce in silenzio questi soprusi.  Come in tale azienda in un paese in riva al mare e addossato ai monti, bella zona di caccia, di pesca e di funghi, dove non c’era vergogna a farsi timbrare il cartellino da altri per potersi godere liberamente queste piacevoli attività, mentre tutti gli altri lavoravano.  Il licenziamento conseguente causa di alzata di scudi sindacale e di immediata reintegrazione da parte della magistratura.  L’Azienda, qualsiasi azienda, aveva e continua ad avere torto per definizione, sembra priva di ragione di esistere;
4)   - la sopravvivenza di enti statali già disciolti, fantasmi di se stessi, dove bisogna per forza mantenere i lavoratori, perché non si possono licenziare.  Questi, e ne conosco, hanno passato i migliori anni della loro vita a fare la settimana enigmistica e a giocare al solitario su Internet, non sapendo che altro fare.  Tutto in nome del posto fisso ma in dispregio della dignità individuale;
5)   - Il ricorrente assenteismo dello Stato nel pagare lavori eseguiti e consegnati, magari da anni, con  conseguenze finanziarie devastanti per le aziende coinvolte e i loro dipendenti;
6)   Le università con 300 corsi di laurea,  molti  dei quali inutili e con pochissimi studenti, con costi alti ma privi di giustificazione tranne la carriere di un qualche cattedratico.

Questa cultura non ha generato equità sociale, bensì parassitismo, senso d’impunità e ferreo spirito di clan.  Il suoi alti costi si ripercuotono su chi non può difendersi, gli infimi pensionati, i giovani che invecchiano senza prospettive e perdono ogni interesse, i dipendenti che svolgono il proprio lavoro seriamente senza sapere perché.  Questa cultura ha protetto nessuno e niente.   La speranza si è persa nel labirinto degli interessi particolari, così come la coesione della comunità.