domenica 22 aprile 2012












La musica

Per me la musica è come un temporale,
forte, potente, ha un fare gioviale.
E’ dolce, dà vita,
è sempre infinita.
Se sei felice, scorre dentro di te,
e nessuno, mai, saprà dire perché

20 aprile 2012

Enrico Clerico  (mio nipote di 10 anni)

martedì 17 aprile 2012

La lezione di padre Pirrone tanto per sorridere (amaro)

Scrive Enzo Papi…



Se chiediamo oggi a uno studente di storia moderna o medievale cosa pensa del “ dovere morale” che la Chiesa addossava a chi era tenuto al pagamento della “decima” , ci sentiremo rispondere, per certo, che si era davanti ad un salasso immotivato di ricchezza ai danni di poveri  contadini, espropriati del frutto del loro lavoro a beneficio di grassi abati e ricchi vescovi.  Eppure la Chiesa motivava ben altrimenti la diffusa tassazione ( sotto varie forme) a suo favore. Basta ricordare le parole del  Padre Pirrone, nel noto romanzo di Tommasi di Lampedusa, “ chi darà un piatto di minestra ai poveri se la Chiesa viene espropriata dei suoi beni ?”.
Il “Welfare State” ha assunto varie definizioni e consistenza nei secoli passati, ma ha sempre avuto un comun denominatore. I primi e più convinti sostenitori sono sempre stati gli amministratori più che i destinatari degli aiuti. Anzi, spesso, i beneficiari non si erano neanche accorti di esserlo.
Fuor di metafora e di similitudine di avvenimenti storici, il problema della giustificazione dei prelievi del Principe e delle Istituzioni a lui collegate resta un tema di grande attualità. Mai, com’è accaduto nel 20° secolo, lo Stato ha prelevato il 50% della ricchezza prodotta dai cittadini. Certo nel secolo scorso lo Stato si è presentato e giustificato come diretto rappresentante del popolo e quindi ben diverso dal Principe autoritario ed insindacabile. Tuttavia quando il partito si fa Stato, come nell’esperienza comunista, o i rappresentanti eletti “Casta”, come nelle attuali partitocrazie occidentali, anche la differenza di origine (non di fatto)  scompare ed il senso di abuso dovrebbe tornare a sollecitare l’osservatore oggettivo.
Così non è. Il “politically correct” del nostro Presidente e il vecchio senso di solidarietà nelle “decime”  del cardinal Bagnasco tuonano contro evasori immorali, ma nulla dicono della moralità dei grassi ed inutili abati dalle ben fornite  mense e dei ricchi commensali di cortigiani di sangue e di cappa.
Lo sdegno verso lo spreco di risorse prodotte a caro prezzo ed appropriate dal Principe non è questione del momento. Meglio discutere dei felloni che nascondono il raccolto ai Befera di turno.
Eppure se non si tornerà ad apprezzare chi produce e biasimare chi, senza merito, consuma, il futuro non potrà che ripercorrere le sonnolente e, talvolta drammatiche,  strade già tracciate nel passato dell’Europa.                      



  

domenica 15 aprile 2012


Splendori (iniziali) e miserie (finali?) di un governo tecnico

Com’eravamo felici all’inizio di questo governo…  Sei mesi dopo la sua formazione, siamo smarriti.  La nave si sta arenando.  Incredibile.  Riflettendoci, però, la ragione appare semplice.
Lo sguardo di Monti è stato sempre rivolto alla UE, alla Germania, all’euro, allo spread, non all’Italia vera né ai problemi concreti, (ora) acuti della gente. Le riforme proposte dal governo sono pura teoria.  Timidezza nell’affrontare la realtà brutale?  Mancanza di pragmatismo da universitari?  Boh…
1)   La UE.  Monti, come altri governanti europei, non ha mai messo in discussione la UE , la sua burocrazia asfissiante, la sua inefficienza a elaborare un organico  progetto comune, la sua incapacità a predisporre una governance politica comunitaria che rispondesse delle proprie azioni di fronte all’insieme degli europei.  Tra i paesi membri della UE, paradossalmente, è sempre prevalsa l’idea di proteggere da ogni diluizione gli stati nazionali, la loro identità, cultura, economia specifica.
2)   La Germania (molto virtuosa) è oggi la principale, per non dire unica, beneficiaria di questa visione.  Può imporre le sue condizioni agli altri stati europei, persino alla Francia. E’ l’esempio da imitare? Dice Monti che la sua riforma del lavoro ricalca quella tedesca e quindi  deve funzionare per forza.  Tralascia il fatto, appunto, che la Germania è una potenza che può permettersi una costosa riforma del lavoro, perché è molto produttiva, dotata di  tecnologie avanzate, e quindi molto competitiva.  L’Italia si trova esattamente al polo opposto: è un paese stremato che ha perso i pezzi principali della propria industria, un paese appesantito da un’enorme zavorra statalista che non si può toccare.  Infatti, Monti si è ben guardato dal toccarla, e ha fatto bene, giacché non dispone di strumenti politici per affrontare questo argomento.
3)    Più semplice occuparsi di pensioni?  Il governo l’ha fatto nel modo più pesante, spostando in avanti l’età pensionabile e riducendo il valore delle pensioni che saranno corrisposte già dal prossimo anno. Certamente non è una buona notizia per i giovani e per le imprese perché si rinvia il ricambio generazionale indispensabile, sangue nuovo per il Paese.  Una scommessa pericolosa?   Certo, ma come plasmare il futuro altrimenti?  Il ministro Fornero continua a centrare la sua attenzione su parole tanto raffinate (rigore, equità, sobrietà, sviluppo) quanto prive di significato perché non supportate da una valutazione esauriente della realtà sul campo.  Sarebbe stata opportuna qualche simulazione al ministero del Welfare: forse il governo avrebbe evitato disastrosi errori come quello che emerge oggi con gli esodati.  La colpa, secondo il governo, è degli imprenditori.
4)  Lo stesso vale per la riforma del lavoro, la quale avrà come unico risultato di accrescere il costo del lavoro, scoraggiare le assunzioni, precarie o no, e ridurre la competitività dell’Italia, con le conseguenze immaginabili sull’occupazione in tutte le sue varie forme: co-co-co, immigrati avventizi, OTD, OTI.   Il ministro Fornero ha avuto l’impudenza di dichiarare che dopo tale splendida riforma, gli imprenditori devono ricominciare a investire. Viene da pensare che il Ministro non sappia cosa sia un’impresa.
5)    Lo stesso vale per le tasse (parole, parole, parole, cantava Mina).  Lotta a tutto campo all’evasione, aumento delle tasse, creazione di nuove tasse per finanziare questo o quest’altro  provvedimento, IVA al 23%.  Ma con il sistema ridondante, deficitario e inefficiente del servizio pubblico, gli italiani rischiano di finanziare altri sprechi e altra corruzione, fintanto che qualcuno non si decide ad abbattere la spesa pubblica e a riformare l’intoccabile pubblico impiego.
Così, il rigore rischia di trasformarsi in repressione, l’equità in iniquità, lo sviluppo in recessione.  Abbiamo qualche ragione di sentirci smarriti, noi profani?  Forse è il caso di tornare alla politica? Purtroppo, quale politica?

martedì 3 aprile 2012

La riforma del lavoro e lo sviluppo dell’economia

Scrive Enzo Papi...


Dopo aver imposto un’inevitabile stangata sulla spesa pensionistica e un vigoroso incremento delle tasse, Monti sta cercando di controbilanciare gli effetti recessivi di questa pesante tosatura con qualche misura che stimoli l’economia. Ha individuato nella correzione delle norme che regolano il mercato del lavoro il campo d’intervento che meglio può convincere le imprese a scommettere sul futuro e tornare ad investire.
I problemi di competitività che vengono dal lavoro sono due: L’elevato costo totale (soprattutto per l’effetto del cuneo fiscale) e la rigidità dell’impiego, per cui una scarsa professionalità o uno scarso interesse del dipendente alla mansione non può essere corretto con la sostituzione della persona. In questi casi l’azienda può solo tentare la difficile e spesso improbabile via della nuova formazione e di una paziente opera di rimotivazione.
Le misure proposte al Parlamento da Monti prevedono un aggravio del costo dei contratti a termine e maggiori difficoltà per poter ricorrere all’impiego atipico, il cui costo per l’impresa è mitigato da minori i contributi e  minor fiscalità. Si può comprendere la volontà di contrastare il precariato, ma è difficile capire come queste misure possano essere di sostegno alla competitività delle imprese.
La legge delega proposta da Monti contiene anche una correzione all’articolo 18, introducendo la possibilità del licenziamento per motivi economici, previo pagamento di un preavviso di 18 – 27 mesi. A parte la difficoltà di dimostrare i motivi “economici” e non discriminatori (un fannullone si può licenziare per motivi economici o è discriminatorio?) il costo sarà, per molte imprese, impossibile da affrontare.
Le resistenze a queste misure sono risultate già così aspre da rendere incerto l’esito del percorso parlamentare, ma quandanche ricevessero il sigillo del parlamento, per quale motivo ci si deve attendere che abbiano un positivo effetto sul rilancio dell’economia?