martedì 31 gennaio 2012

un vento gelido

Un vento gelido spazza l’Italia.  Stamattina, 31 gennaio,  andando al lavoro ascoltavo Rai 24 intorno alle 8.45.  L’argomento della trasmissione era l’evasione fiscale, particolarmente attuale dopo il blitz a Milano di sabato sera.  Tra gli ospiti vi era un ex-procuratore che, in tutta serenità,  avanzava la proposta di un ruolo della “vergogna” dove iscrivere gli evasori di Milano e dintorni.
Lungi da tutti, è vero, il garantismo dell’era Berlusconi, contaminato dagli interessi specifici di costui.  Però stamane, ascoltando quell’ex-procuratore (di cui non ricordo il nome perché lo devo aver rimosso) forte era l’impressione che stesse tirando ancora una  volta aria d’inquisizione la quale, da sempre, è  madre della calunnia, della delazione e, ai tempi nostri, delle intercettazioni a tappeto e della gogna mediatica.  Tutte cose che colpiscono un po’ di colpevoli e molti innocenti, segno che la presunzione d’innocenza è diventata un optional.   Encomiabile solo perché in nome dell’etica fiscale?  Ho qualche dubbio.
Ai tempi di George Bush e delle misure da lui decise in seguito a 9/11 nell’ambito della Homeland Security, le libertà individuali e le libertà costituzionali subirono forti, forse durature lesioni in nome dell’impellente lotta la terrorismo.   Il sentimento diffuso, in America e altrove, era che  fosse gravemente danneggiato il supremo principio di  legalità e che stesse scomparendo la pregevole cultura del habeas corpus che, nel bene e nel male, aveva governato il Paese fino ad allora.  Abu Ghraib, Guantanamo, e altre brutturie ne erano la prova palese.  Difficili da dimenticare e anche da cancellare.  Certe ferite non risarciscono mai.
Le proporzioni tra i due fenomeni sopra descritti non sono le stesse, ovviamente,  ma i meccanismi sono gli stessi, le conseguenze pure. Forse ce ne accorgiamo meno degli americani, perché non vi è mai stata un’abitudine al liberalismo  nella cultura italiana.  Più comodo, più conveniente, più facile da seguire, il sanfedismo,  religioso, tribale, ideologico del proprio tempo.  Alle brutte abitudini di sempre se ne stanno aggiungendo di nuove, ancora più insidiose, perché ammantate da una nuova etica ancora più politicamente corretta e quindi ancora più pericolosa perché ottenebra e finisce di violentare la capacità critica individuale.  Annullandola.

martedì 24 gennaio 2012

Sfigati di questo mondo

Il vice-ministro Martone dice che “i ragazzi che si laureano a 28 anni sono degli a sfigati.” Chiaramente non ha avuto figli che hanno studiato nelle università statali.  Anni fa, pranzai con un professore di Perugia.  Gli chiesi quante ore di corso insegnava.  “Io, corsi,  signora?  Ho ben altro fare.”  Mi rimase impresso e non avevo ancora i figli all’università, non sapevo il calvario che li aspettava:  professori mai disponibili neanche negli orario di ricevimento,  facoltà fatiscenti, se non sull’orlo della rovina strutturale, (caso nostro a Pisa), rincorse nei corridoi dietro i professori per passare gli esami spesso rimandati, per farsi seguire la tesi (mesi e mesi), segreteria foltissime dove nessuno sapeva niente e dove gli studenti vengono tutt’ora  trattati come abusivi.  E noi, per i nostri figli, abbiamo pagato per tutto questo, compreso per i fuori-corso diventati necessari.  Ormai, dopo tanti sforzi, si doveva arrivare in fondo.  Queste non sono lagnanze gratuite, sono esperienze vissute.

Allora, vice-ministro Martone, forse è il caso di documentarsi un po’ meglio.   Se lo facesse, capirebbe che quella “corporazione” (non c’è altra parola) di docenti e di gestori dell’Università non serve a nessuno – non agli studenti, non alla cultura, non alla tecnologia e quindi non all’industria – non serve che a se stessa, solido zoccolo di privilegio e di parassitismo in Italia.  I veri “sfigati” sono loro, e senza onore, giacché hanno in mano il futuro della Nazione e lo stanno sprecando. I giovani di oggi, dopo questo genere di esperienza, non credono in niente. Perdiamo una generazione dopo l’altra. E questa è una cosa che deve finire.



mercoledì 18 gennaio 2012

Brutto infierire



Schettino sarà colpevole di tutto ciò che gli viene addebitato dalla magistratura, la quale sa quello che fa.  Però i media sono colpevoli ancora una volta.  Ancora una volta, la presunzione d’innocenza che, pur intaccata dai fatti in questa occasione, dovrebbe valere come sempre e fino in fondo, è calpestata dai media.  In nome della sacrosanta notizia che deve giungere comunque all’opinione pubblica,  stanno infierendo in modo brutale su questo uomo, privandolo a priori di ogni suo elementare diritto.   Non dico il silenzio, che sarebbe utile ogni tanto, ma neanche queste grida e questi  schiamazzi giornalistici che vanno oltre il sopportabile.  Quando è che in Italia s’imparerà la misura?  


lunedì 9 gennaio 2012

Il liberismo è di sinistra

Di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi.  Un saggio interessante e molto puntuale, di cui l’unica cosa che non ho capito lì per lì era il titolo.   Sembrava che i due autori , malgrado tutto, partissero dalla solita premessa che la sinistra è comunque  detentrice della verità assoluta, che resta il campione inconfutabile dell’etica? Oppure che da parte loro ci fosse una specie di mimetismo involontario che ci colpisce tutti per un riflesso di auto-difesa, specie se stiamo dalla parte sbagliata.  Ma no, a rifletterci bene il titolo significa che il liberismo è più di sinistra di quanto non sia liberista la sinistra.  Che in materia ha ancora tutto da imparare. Il liberismo (e liberalismo) non stanno nel DNA della sinistra, né storico né umano, non di ieri, e neanche di oggi.

Tutto è cominciato nel Sessantotto.  Io l’ho vissuto in prima persona in Francia, da straniera, è vero.  Il casino mi ha divertito per un po’- avevo vent’anni - non per molto.  Ho visto un’università nuova di zecca , dotata di ogni strumento possibile,  trasformarsi in un accampamento di selvaggi.  La distruzione non mi sembrava consona a tutti gli alti principi che sentivo proclamare nelle assemblee dai capi popolo studenteschi/operai.  Subito dopo, rispetto alle bizze degli studenti, sono successe cose assai più rilevanti, almeno in Italia.  In quel tempo del “vogliamo tutto,  la protesta e la rivolta nascevano davvero dal basso, dal ventre della classe operaia venuta su al Nord, a lavorare alle catene di montaggio.   Vi era allo stesso tempo l’autenticità e la spontaneità di quelle voci e la giustificazione della storia.  Elio Petri raccontava  splendidamente i fatti e Volonté li interpretava in modo geniale.  Ed erano fatti di grande novità rispetto a sempre, rispetto ai millenni passati.   Non si poteva non essere di sinistra in quel momento. Ma già allora, e poi sempre più , dopo la caduta del Comunismo, dopo la Bolognina, prevalse un’operazione di salvataggio dell’identità devastata del PCI .  La sinistra si posizionò al crocevia di tutte le paure, creandosi con grande avvedutezza una sorta di monopolio di ogni possibile valore etico, senza mai averne l’onere della prova – e chi  gliela poteva chiedere?  I capitalisti condannati da Tangentopoli, la DC o il PSI distrutti?  

Così, nel’immaginario collettivo, la “solidarietà” diventò un’esclusiva della sinistra:  La “difesa dei deboli”,  il “diritto allo studio”, il “pacifismo”, la “difesa del lavoro” , pietra angolare della Repubblica, il “diritto di manifestare”, di “difesa dell’ambiente” ,  di “difesa della donna, dei gay” e via dicendo.  Erano così affinati e legittimati tutti i parametri di una cultura marxista nuova di zecca, sganciata dalla brutta tragedia del Comunismo sovietico.  Tutti dovevano plaudere e conformarsi.  Praticare questi principi sulla base della propria coscienza,  nel privato della propria vita, senza gridarli,  voleva dire scegliere la parte sbagliata.

Non c’è stato scampo per nessuno:  anche gli “esprits forts”  hanno dovuto conformarsi a questa cultura, pena l’esclusione.  Tutti si sono buttati dentro, senza voler cogliere l’occasione di riflettere.  Su che cosa riflettere?  Sul fatto che si stava allevando la mala erba del privilegio, e consolidando l’abitudine al parassitismo.

Il merito ha perso via via ogni ogni legittimità, così pure l’eccellenza, la concorrenza, la ricchezza. Tutte cose da cestinare ormai, in nome dell’equità, contro la  propensione terribile del cosiddetto capitalismo al sopruso.  Sopravvenuta poi la “influenza” americana del 2008, peggio di quella spagnola, questo atteggiamento ha trovato piena giustificazione.  Il dramma si è così consumato.  L’Italia non è più psicologicamente in grado  di competere, gli italiani non ci provano nemmeno:  più facile crogiolarsi in una “equità” costosissima e tutta virtuale, giacché non sostenuta dalla concretezza. I giovani,  in assenza di ogni futuro, si chiudono nella fortezza informatica di face book, e twitter, alla ricerca di un loro destino individuale che non ha  molto a che fare con la realtà. Vizi di gente ricca, caduta in povertà, e incapace di adattarsi.   Le aziende sono costrette a chiudere per mancanza di ossigeno finanziario e non solo, per mancanza di risorse umane, in sostanza di gente determinata a tirare fuori le gambe dalla crisi.  Manca, a questo punto, la capacità di produrre ricchezza.  Sarà una cosa orribile, la ricchezza,  da condannare, ma quanto necessaria alla vita di una nazione! 

Il liberismo e il liberalismo sono troppo deboli, poco attraenti in questo frangente.  Non sono in grado di offrire una cultura alternativa. Richiedono raziocinio e oggi è troppo chiedere. La cultura esistente è troppo bene radicata, troppo comoda nella sua retorica. Per realizzare il liberismo, bisognerebbe annullare la cultura del privilegio e della legittimità abusiva.  Molto difficile. Dove andiamo?