sabato 26 novembre 2011

Il pulcino nella stoppa


E’ già cominciato il lavoro di sottile delegittimazione del nuovo Premier.  I suoi modi urtano perché troppo forbiti, sottotono, evidenza di frequentazioni elitarie:  Trilaterale, commissioni UE, Bocconi, Goldman Sachs…. Al polo opposto, la brutale rissosità della politica italiana.  Monti vi fa figura di “pulcino nella stoppa”, direbbe Malaparte.  Non ne conosce i meccanismi, gli umori, le suscettibilità.  Gli capita, per questo, di cadere in errori madornali, ultimo dei quali la comunicazione del suo piano di risanamento alla UE,  prima ancora che al parlamento italiano.  Ha già tradito il suo mandato?  Che dire allora di Fini, di Bossi, di Scajola e di quant’altri hanno tradito il mandato dei loro elettori?
Per ora, è soprattutto una questione di estetica, ma rischia di diventare una questione d’incompatibilità, dunque sostanziale.  Detto questo, oltre alle riconosciute qualità tecniche, vi è un aspetto che caratterizza il nuovo Premier:  il senso di servizio allo Stato.  Se non,  perché aver messo in gioco la vita comoda e i privilegi, rispondendo all’appello del Presidente Napolitano?  Anche in questo, Monti si contrappone all’abitudine di strenua difesa dei diritti acquisiti, degli interessi personali e di clan che connota la classe politica, sindacale, amministrativa e giudiziaria del nostro Paese.  Non si tratta più di estetica, ma di sostanza, a giudicare dagli effetti rovinosi sulla vita del Paese in ogni ambito, da molti anni a questa parte.
A chi, dunque, dare credito a questo punto?  Monti, a differenza delle consorterie politiche ecc. ecc. , merita il beneficio del dubbio.  Gli altri, no.  Almeno che non lascino il posto a giovani e più vergini leve.



                                                                     

Un'orchestra inaffidabile

                                                         
                                                      €uro


Aspetti centrali della crisi

A livello Euro:

( un’orchestra inaffidabile)

Il concetto stesso di Stato si associa, di necessità, a quello di Governo (il Principe) che ha il potere di “batter moneta”. In tempi recenti, (XIX secolo) il Principe ha visto contrapporre al suo potere arbitrario, una serie di limitazioni e tra queste anche in quello di batter moneta. Sono nate così le banche centrali, con una relativa autonomia di “governance”, ma che hanno mantenuto l’obbligo di “prestatore di ultima istanza” alle necessità finanziarie dello Stato.
La nascita dell’Euro e della Banca Centrale Europea, nel quadro della Comunità “quasi federale “, presenta alcune importanti anomalie rispetto al consolidato binomio, Stato- Banca Centrale, conseguenza del fatto che, per l’appunto, la Comunità è un “quasi Stato”, ma non è uno Stato. Infatti, non sono state previste Istituzioni che possono operare da prestatore di ultima istanza, né Istituti in grado di finanziare sul mercato le necessità della Comunità o dei singoli Stati. Ciò ha come conseguenza che la Comunità può solo disporre di fondi fornitigli dagli stessi Stati (cessione di una % dell’IVA riscossa dagli Stati) e, a differenza di quanto potevano fare le banche centrali dei singoli Stati, prima della creazione dell’Euro, non può “emettere moneta” per affrontare situazioni di contingente inaffidabilità finanziaria di uno o più Paesi, che può derivare da:

    • Una crisi di liquidità del mercato finanziario internazionale (situazione esistente oggi) che induca una valutazione  più selettiva del rischio debito dei Paesi emittenti e un conseguente rialzo dei tassi di interesse richiesti a questi Paesi.

    • Inaffidabilità di un Paese che si trovi specificatamente, per malgoverno o cause eccezionali quali: eventi naturali o assestamenti sociali – instabilità politica (sommosse fino a cambiamenti traumatici del potere politico) in una situazione di maggior rischio percepito dai prestatori internazionali e non possa ricondurre, nel breve, gli eventi in un ordine considerato di affidabilità per il ripagamento del debito sovrano.

Per semplificare ed esemplificare, oggi, l’Euro, è paragonabile un’orchestra in cui ogni suonatore non può sbagliare la sua parte. Non vi è un direttore che possa sanzionare gli orchestrali disattenti o volutamente svogliati. (essendo i suonatori gli Stati, e il direttore la Commissione). Né è prevista una qualche misura che possa sostenere l’orchestrale che cade in malattia, con una cura somministrata solidalmente da parte degli altri componenti l’orchestra. Il direttore si limita a prescrivergli la ricetta per guarire (raccomandazioni della Commissioni o della BCE) e gli ingiunge di guarire presto perché, con la sua malattia, sta mettendo a rischio il concerto. Se non ha soldi per curarsi, al massimo, il direttore può farsi promotore di una colletta di solidarietà (come nel caso della Grecia, dell’Irlanda e Portogallo), ma se la deve cavare da solo. Nel caso di malattie gravi che domandano interventi pesanti e costosi (come nel caso dell’Italia), dove la colletta di solidarietà è chiaramente insufficiente, gli s’ingiunge di risolvere i problemi e basta, anche a costo di interventi mutilanti, che poi, verosimilmente,  metteranno a rischio anche la possibilità che possa tornare a suonare.

Oggi parecchi suonatori (Stati) sono in malattia, perché hanno ecceduto in bagordi o perché sono, da sempre fragili e vulnerabili, e non possiedono sufficienti anticorpi per resistere all’influenza “americana” originatasi a Wall Street e che, due anni fa, ha contagiato l’Europa.
Se non vogliamo che l’orchestra si sciolga occorre ripensare le regole improprie che hanno retto, fin qui, il funzionamento dell’orchestra.
Il direttore deve avere il potere di indirizzare i suonatori, controllando che lo spartito sia quello giusto (potere di definire la politica economica e di bilancio), deve avere un potere credibile di sanzione (potere politico federale) e deve assicurare agli spettatori paganti (la comunità finanziaria) che il concerto comunque si terrà e che il prezzo del biglietto pagato non sarà reso vano da qualche suonatore ammalato, svogliato o indisciplinato  (ruolo di prestatore di ultima istanza della BCE e possibilità di emettere titoli garantiti da tutti gli Stati – Eurobond-).
In buona sostanza l’Orchestra deve diventare una vera Orchestra (Federazione) e non una “Comunità” di suonatori, altrimenti ben pochi spettatori paganti saranno disponibili a dargli credito e comprare il biglietto (acquistare titoli dei singoli Stati)

Alla prossima …

Enzo Papi

lunedì 21 novembre 2011

i had a dream


I had a dream

A strange dream.  I  sat on a chair with a child standing in front of me.  He was small, seven years old or so.   I was removing a layer of  hair from his shoulders, with  a pair of nail scissors, working slowly downward with great precision because I was afraid of hurting him.  The hair came off like a very fine, nearly invisible, shirt, all in one piece, and the skin beneath was perfectly smooth, though I was afraid at the beginning  it might appear  bloody like the meat of a farm rabbit readied for cooking .  The me outside the dream was surprised, the one inside not at all. I knew nothing of the place and time which were not defined in the dream, as I slept on.  Perhaps it was normal, where I was dreaming, that children should have gossamer-like fur covering their whole body, normal that adults – mother, grandmother, aunt – should remove it when they reached a certain age - the age of reason?  Somehow I had the sense that this was a traditional custom, in the dream world where I was, like the tightly wrapped feet of little girls in Japan to impede their growth, or the scars on the cheeks of certain African tribesmen, or the deformed skulls of noblemen in Peru or in Yucatan before the Spanish conquest. Such social habits are usually tolerated within and without their place of origin, though not necessarily approved by all.  In the dream, I had a good feeling about what I was doing, not that it was  harmful to the child, but still I felt a certain sadness, perhaps only I was ending his childhood. 
But I also wondered as I slept, or the real me wondered why, I was doing it. Why remove this reminder of a distant past when humans were an indistinct and integral part of the animal world? Was it a habit, a ritual, a statement, a justification, or all these things in one?  I don’t remember whether these queries came later, when I woke up, or were implicit even as I slept.  Did a form of rationalization take place at the end-tip of my dream, at the limit of consciousness?  Later, when I woke up, I tried, piece by piece, to put the puzzle together. This is what came of it, nothing scientific, a sort of coverage of my dream:    
Instinct is presided by rigid and specific rules insuring the survival of the species.    No species will suppress its kind or other species, or its environment, because it would only destroy its own means of survival. There is no gratuitous reason for death or destruction, in nature, madness is involved but rarely.  Lions will not cancel the whole deer population or wreak havoc to the savannah just for the fun of it.  Fun is related exclusively to specific acts of learning by playing in youngsters, of sustenance and mating, but it is a collateral effect, not the cause and most species are unaware of it.  Fun is not part of the animal world, humans excepted.
At a certain point – fifty thousand years ago? -  the human mind came into the picture.  It was not only governed by the rules of nature and instinct, but also by an urge to investigate the environment that was completely new and, to this day, remains a mystery.  By trial and error, randomly sought and erratically productive, with time and future looming ahead and constantly re-arranging the options, the alternatives  offered by human intelligence to the natural order had - and still have- the stamp of uncertainty.  They  were difficult to handle, brought about never-ending sequels that were elating but also difficult to understand, sometimes dangerous:  God, fire, tools, the wheel, war.  They produced  the necessity both of domination and progress. 
The  survival of the fittest has always been a question of adaptability which, at this point,  depends mainly on mankind. The human mind has fashioned the environment to the image of man who now dominates it, dynamic, disruptive, unreliable.   Basically ,  the survival of the fittest does not apply to all species anymore – except, perhaps, unicellular forms of life  - now that man is  an overwhelming presence on the planet. 
So where does that dream come in?
Lately,  I have been thinking of how fragile the human species has become, such as it is now, entirely dependent on technology, cut of from its roots, and from the laws of nature. This revolutionary trend has affirmed itself in the last two hundred years, which is nil compared to the millions of years of evolution preceding the appearance of man on earth.  Time is suddenly  spinning at vertiginous speed, and the only explanation is that the minimal sums of knowledge that the human mind silently accumulated for eons and ages have for some reason sparked into an elaboration that feeds upon itself endlessly, changing the very position of man within nature as it was, estranging him from it .   Nature has always been and often is merciless – earthquakes, tsunamis, meteorites, eruptions – blindly changing the course of evolution and history.  The human being of all times has had no defense against it, except the hardiness to survive and, and diversely from certain animal species, to start again from scratch.  Add to this the complete self-reliance of man nowadays , the capacity to rule out anything that goes against it , the incapacity to live in osmosis with nature as  his forefathers did:  all this opens a rather frightening scenario.  Mankind is on its own, it is depriving itself and other species of  adaptability because it is changing the raw and vital configuration of the natural world.   None can be considered  the fittest anymore in an environment that is ruled by uncertainty and requires the corrective interference of technology . So, yes, perhaps the dream had a meaning.  Perhaps, as I dreamed it, I knew  I was doing no physical harm to the child, but I felt a certain sadness at removing this last trace  of the animal in him and uncovering this new vulnerability.


domenica 20 novembre 2011

Un dubbio





Il nuovo Presidente del Consiglio ci ha regalato una ventata di aria fresca.  Ammiro in lui la coerenza, la serietà e, vivaddio, i modi pacati, qualità poco italiane che ridanno all’Italia un po’ di autorevolezza.  Di sicuro è uomo di esperienza e capacità come non se ne vedeva più al governo da tempo.  
E proprio per questo, mi ha sorpreso che abbia scelto il capo di una grande banca come ministro delle Infrastrutture e dello Sviluppo.  Avrà avuto eccellenti ragioni per farlo, ma non può ignorare che la stragrande maggioranza, in Italia e nel mondo, considera le banche, a partire da quelle americane, come il primo responsabile della crisi mondiale.  Né può ignorare che la sua libertà d’azione, in qualità di presidente del consiglio, è fortemente limitata da quella voliera di galline impazzite che è il Parlamento italiano.  Dalle sue paure, innanzitutto, dalle sue  bizze, dall’abitudine ormai inveterata di giocare sporco contro gli avversari.  Purtroppo il presidente del consiglio deve interagire con il Parlamento.  Ne dipende, e non dispone, forse non disporrà mai, della scaltrezza mediatica dei politici.  Non bastano, purtroppo, né la stima del Presidente Napolitano, né le oggettive capacità che gli sono proprie.  Per fare, deve convincere, e la scelta di un banchiere a ministro è stata, in questo senso, imprudente.   Una pietra d’inciampo che poteva evitare.   Tutti buoni, adesso, ma l'aspettano al varco.  

sabato 19 novembre 2011

La vittoria della Sinistra 14 novembre 2011





La vittoria della Sinistra

14 novembre 2011



La vittoria, per soppressione dell’avversario, sembra essere diventato il metodo politico congenito alla “nuova Sinistra”. Quella nata nelle aule giudiziarie di tangentopoli, uscita menomata e disorientata dal crollo del muro di Berlino, sotto cui era finito sepolto il mito del Comunismo.
E’ il vizio acquisito nel 93 quando la magistratura, e non le elezioni, sconfissero il nemico di un vecchio partito ideologico che disperava oramai della sua sopravvivenza.

Il merito di Berlusconi, uno dei pochi, è di aver ostinatamente impedito, per quasi un ventennio, il successo di questo metodo, ben poco democratico, almeno nella sostanza.
Merito che però, agli occhi della nostra sinistra, è ben grave colpa. Colpa che ampiamente giustifica l’odio, e i conseguenti festeggiamenti, ogni volta che Silvio scende dal “Palazzo del potere”. In particolare, questa volta, in cui l’età sembra motivare una sua definitiva uscita di scena.

Eppure non ha motivi di abbandonarsi all’esultanza. Berlusconi si fa da parte, ma non per far posto ad una sinistra vittoriosa. Ha ottenuto le sue dimissioni, ma non ha conquistato il “Palazzo”. La sua armata, che si è composta sotto la bandiera della guerra all’odiato nemico, manca della credibilità di una proposta politica che rassicuri i mercati internazionali, che ben più di lei hanno spodestato un Berlusconi ingessato, e li convinca all’acquisto del nostro debito pubblico.

Così il vecchio saggio, l’ex comunista eretico, Napolitano ha pensato a Monti. Non ha voluto le elezioni anticipate che, molto probabilmente, sull’onda della crisi economica, condita di “Bunga-bunga” giudiziari, avrebbero incoronato Bersani (o chissà quale altro cardinale della variopinta cordata) nuovo Premier.

Ora se Monti avrà successo, come tutti dobbiamo sperare, non dimostrerà che la Sinistra aveva ragione, ma solo che Berlusconi è stato “insufficiente”. L’uomo, intrappolato nelle beghe di un partito che ha voluto, condito di veline, allegri compagni di serata, qualche vecchio arnese della prima repubblica, professori vanitosi e ambiziosi e convinti ammiratori del Capo, si è mostrato incapace di passare dalla “fiction” alla realtà. Con questo esercito originale e pur con la valida scusante di essere stato oggetto di un’ostinata “caccia alla volpe”, organizzata dalle procure di magistrati “democratici”, non poteva credibilmente affrontare la sfida della modernizzazione del Paese, sempre che ne abbia avuta la volontà.

Se Monti avrà successo, dimostrerà che la nostra politica tutta, versione “Berlusconi” e versione “Sinistra ammucchiata” va messa in soffitta e che i giocatori vanno cambiati.

Smantellare rendite, privilegi, consorterie e la cultura furbesca che le alimenta insieme a quella fatalista che le tollera, è la vera e vecchia sfida che il Paese deve affrontare fin dal ’93.
Forse, con l’arrivo di Monti, chiamato al compito di salvatore di ultima istanza, potremmo aver iniziato ad affrontarla davvero, ma per questo dovrà cambiare la casacca di tecnico per indossare quella del politico e non e per niente sicuro che lo voglia ( e lo possa) fare. 

Enzo Papi

Il blog ospita oggi il contributo di un uomo di grande esperienza di vita, di studio e di lavoro che, d'ora in poi, condividerà con me questo spazio.