giovedì 27 giugno 2013

la ragazza nigeriana



Salivo sull’autobus per andare all’aeroporto di Stansted.  Una ragazza mi ha aiutato a caricare la valigia a bordo.  Casualmente mi sono seduta di fianco a lei nell’autobus.  Subito sono cominciati i problemi di traffico a causa della chiusura di un tunnel sul nostro percorso.  La ragazza su agitava per il ritardo e pregava Gesù di non farle perdere il volo.  L’ho rassicurata, dicendole che eravamo solo all’uscita di Londra e che passato quell’ingorgo, saremo andati spediti.  Così è stato e abbiamo potuto chiacchierare un po’. 

Era una bella donna, intorno ai 40 anni, alta e molto formosa, grandi piedi e mani, vestita con eleganza, un’acconciatura complicata.  Mi ha detto di essere nigeriana e, siccome mi piacciono l’Africa e i suoi abitanti, ho cominciato a farle domande.

Mi ha raccontato di avere studiato Fashion design in Nigeria e di aver aperto un laboratorio di abiti da sposa nel Kent.  I suoi  due figli sono ormai grandi, e così può tornare ogni tanto nel suo paese di origine.  Le ho chiesto perché non in modo definitivo.  Mi ha risposto che, dopo l’Inghilterra, la Nigeria la fa ammalare sempre per via dell’insalubrità generale.
Le ho chiesto se ne era nostalgica e mi ha risposto non proprio, e si è rabbuiata.  Le ho chiesto se anche suo marito lavora in Inghilterra.  Ha scosso il capo.  Ho pensato: forse è divorziata. Lei ha ripreso il discorso, parlando dei suoi due figli, uno studente d’ingegneria e l’altro già avvocato.  Mi ha raccontato  che il primo era disordinato, a tratti indolente e molto riservato; il secondo, l’avvocato, invece, preciso negli orari e nelle cose, sempre un po’ stressato, molto preso dagli studi prima , poi dalla sua attività, e – disse, scuotendo la testa – pure dall’impegno sociale.  Tutto suo padre, disse lei.  Il quale, anche lui, era avvocato, ma non uno qualsiasi.  Si occupava di diritti civili – e umani - in Nigeria, paese difficile, governato dalle grandi compagnie petrolifere molto legate alla classe dirigente e molto attiva in politica. 

Ormai la ragazza parlava liberamente con me.   Mi ha raccontato che la situazione politica precipitava spesso.  Suo marito era impegnato sul fronte delle libertà civili, difficile per definizione in un paese come quello. Era spesso minacciato.  Lei lo pregava di smettere, di pensare alla famiglia,  Finché non fu ucciso, praticamente sotto i suoi occhi – non mi ha spiegato da chi, esattamente.  Fu allora che lei prese le sue poche cose e i suoi bambini e immigrò in Inghilterra per rifarsi una vita.

Mi ha colpito questa donna, con il suo sacchettino di plastica al posto della borsa da viaggio,  dove ha frugato in continuazione durante questo viaggio a Stansted, alla ricerca del biglietto, del passaporto.  Mi parlava con animazione, ogni tanto aveva un sorriso molto bello, non si lamentava e, soprattutto, non mentiva.  Niente dettagli, niente esagerazioni nel suo discorso.  Il suo racconto era pacato, per niente drammatico, cose superate ormai.  Un’altra vittima del nostro mondo completamente pazzo.  Per me una nuova amica di cui non so niente. Ne ricorderò sempre il volto  e la voce un po’ rauca.

Quando si è fermato l’autobus, le ho detto di correre all’imbarco.  Mi ha gridato un saluto caloroso e l’ho vista sparire nel tunnel d’ingresso dell’aeroporto.  Troppo tardi per chiederle il suo nome.















sabato 1 giugno 2013

internet, che passione...







In inglese si dice the Net, in italiano la Rete, nome appropriato come non mai.  In questa rete siamo caduti tutti, prigionieri per sempre.
A suo tempo, alla fine degli anni Novanta, quando scrivevo il Libraio di Amsterdam, Internet mi è stato utile.  Ci ho raccolto molte informazioni di corredo, mai quanto quelle che mettevo insieme in lunghe e felici ore alla BNF o dalla lettura dei molti libri che compravo. 
E’ finita da tempo l’avventura del Libraio e, oggi, internet con tutti i suoi social networks, è diventato per me un luogo di follia. Mi manda in crisi.

Con Facebook dove sono iscritta da anni, non riesco a cavare un ragno dal buco, semplicemente perché non ho mai avuto il tempo di acquisire la giusta expertise.  Non ricordo la password, la cambio, poi non mi riconosce più nessuno, non riesco a commentare, a rispondere, non so come nascono queste amicizie che mi vengono richieste  da persone sconosciute, non vedo le foto che mi mandano i miei figli e nipoti, i links interessanti che mi mandano gli amici.  Scoraggio tutti.   Lo stesso vale per Linkedn dove sono rimasta iscritta non so come, forse grazie a qualche amico/amica che me ne vantava i vantaggi professionali.  Anche lì, quantità di chiamate e d’inviti ai quali non posso rispondere 1) perché non so chi sono, 2) perché la password mi sfugge e se la cambio, non mi riconoscono loro.  Poi ci sono le offerte di servizi, le richieste di coordinate bancarie per vincite fasulle, e una quantità impressionante di spam in cui i messaggi legittimi e utili  annegano per sempre.

Ultimo in crono, lo spam di “referal” , nella fattispecie un gruppo di indiani (veri, che fanno anche gli indiani) di Mumbai, titolari di siti pornografici.  Appaiono con un nome altisonante e attraente sulle stats:  Topblogstories, al quale è difficile resistere. S’intromettono ripetutamente nel mio blog come lettori.  Ho avuto la curiosità di vedere chi sono.  Fortuna che non ho cliccato sul link che appariva nelle mia stats.  Gli ho cercati su Google, dove sono venute fuori pagine e pagine di proteste.  Un bloggista italiano in Tailandia è riuscita a scovarne persino la foto di gruppo.  La spiegazione che danno nei forum è che questa gente riesce a incrementare i collegamenti e le capacità di acquisire pubblicità a pagamento sui propri siti ogniqualvolta un bloggista clicca direttamente sul loro link.  Nessuno sa dire con certezza se questi indiani possono fare danni.  Cose che, neanche nella più lontana immaginazione, potevo immaginare.
Internet mi diverte e mi interessa a volte (wikipedia), le più volte mi esaspera.  Ormai mi ci sono impigliata senza scampo. Non c'è niente da fare.