domenica 2 agosto 2009

Arte e bomba atomica


Una sera avemmo una discussione a cena, Leopoldo e io. Parlavamo della Roma papalina, della Roma di papa Aldobrandini, quello che fece bruciare Giordano Bruno nell’anno del giubileo 1600. L’inizio del Seicento, quando Roma brulicava di cantieri e ogni statua, ogni dipinto, ogni affresco era un capolavoro a pieno titolo. Dicevo a Leopoldo: La Controriforma metteva all’indice i libri, condannava il pensiero scientifico, ma ha sempre tollerato l’arte, forse perché la considerava innocua. Utile, semmai, rispose lui. Va bene, diciamo pure utile, ma non mi spiego com’è possibile che la bellezza sia riuscita a fiorire, a espandersi, in un ambiente così negativo. Avrebbe dovuto morire anch’essa, soffocata come la scienza, nel confronto impari con un potere che era gretto, prepotente e malvagio. Ma non successe. Come mai? Al più, ci sono state le mutande di Daniele da Volterra ma c’è una bella differenza tra quelle e l’abiura forzata di Galileo.
Leopoldo mi osservava con non poca ironia: vuoi sempre mettere la moralità dappertutto. Vuoi che l’arte sia morale o la scienza? C’è stato l’indice anche per l’arte, eccome, decretato proprio da Clemente VIII e cos’avrebbe dovuto fare l’arte, rivoltarsi? L’arte era utile al potere e il potere era utile all’arte, mentre la scienza era inopportuna e pericolosa per il potere e così il potere per la scienza. L’arte era quella, la scienza era quella, l’epoca quella, niente di strano. Non capisco il meccanismo lo stesso, risposi io, non c’entra niente la moralità. La Controriforma doveva ammazzare la bellezza come ha ammazzato il pensiero, ma non è successo. E ne deducevo, in modo piuttosto avventato, che l’arte è figlia dell’emozione, dell’istinto, della materia bianca del cervello che papa chiamava rettiliana, e per questo motivo gode di una maggiore libertà. La scienza, invece, è figlia della ragione, della nobile materia grigia. La ragione pone i limiti dell’esperienza alla scienza, e qualche volta delle circostanze, come nel caso di Galileo, mentre non c’è limite né all’istinto né all’emozione e quindi neppure all’arte che ne deriva. Può espandersi in tutte le direzioni, pescare in tutti gli stagni, accogliere tutte le tematiche, raffinare tutte le tecniche, anche senza dover scegliere, anche sottostando alle imposizioni di papa Clemente VIII e del severo Paleotti.
Stai facendo casino, mamma, rispose Leopoldo. Idealizzi e non è il caso. Tutte e due sono attività umane e riflettono le realtà umane dell’ambiente che sono fatte di potere, di soldi, di opportunità. In entrambi i casi i limiti se li pongono gli uomini se e quando lo vogliono, o non se li pongono affatto. L’esperienza stessa non è un limite, né ha un limite: può andare avanti all’infinito e portare avanti la scienza all’infinito come sta facendo oggi. Pensa alla genetica, si arriverà presto alle clonazioni. Pensa alla bomba atomica. Come mai gli scienziati non si fermano pur conoscendo con assoluta certezza le conseguenze pericolose di certi loro esperimenti? Anzi, nel caso della bomba atomica, desideravano tutti la conferma e l’hanno avuta a Hiroshima. La conferma dell’esperienza, per l’appunto.
Tutto vero. Sto facendo una gran confusione. In più, a pensarci bene, le conseguenze dell’arte non sono mai così disastrose, anche quando sono frutto di una volontà mirata, obbligata e qualche volta colpevole, come può accadere nella scienza. Penso a Scipione Pulzone, così grandioso, così servile. La sua pittura è bella sempre anche quando è riprovevole, o viceversa, ma non ha mai ammazzato nessuno.
Cosa sto dicendo allora? Non è una questione di etica nell’arte e nella scienza. Come sempre, vado per esempi. Penso a Caravaggio che traeva le sue immagini dalla vita, quando bella e quando brutta, e dipingeva la Madonna morente con i piedi sporchi e la faccia di una prostituta annegata. Era arrogante e rissoso, viveva e lavorava da solo, con una moralità tutta sua che niente condivideva con la moralità del potere. Non si sottometteva a nessuno, né ai dettami letterari di Torquato Tasso, né ai pruriti erotici di qualche famoso cardinale, né tanto meno alle costrizioni assurde dell’indice clementino. Tant’è vero, ribatte Leopoldo, che le sue pitture non furono né gradite né accettate a San Luigi de’ Francesi. Giusto. Ma, volente o nolente, Caravaggio fece l’arte europea di quel secolo e anche dei seguenti. Questo è successo: come mai? Il pensiero dovette vivere da clandestino in Italia per i cinquecento anni che seguirono. Cardano, Giordano Bruno, Campanella, Galileo, tutti perseguiti per eresia. Qualcosa vorrà pur dire, o no? Non riesco a capire, o meglio non riesco a spiegarmelo. Ci dovrò pensare su ancora, o forse non c’è una risposta.

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